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Padova Calcio, la verità secondo Torrente: «Mi hanno rubato il sogno della B»

Padova Calcio, la verità 

secondo Torrente: 

«Mi hanno rubato 

il sogno della B»

foto da Quotidiani locali

Sono passati quattro mesi esatti, una stagione si è chiusa e un’altra è alle porte, la pagina del libro è già stata voltata ma non tutti i tasselli sono rientrati al proprio posto. Per la prima volta dopo l'esonero da allenatore del Padova, Vincenzo Torrente torna a parlare. Lo fa in modo schietto, senza gettare rancore ma non celando la grande amarezza che ha segnato il suo addio.

«Non l’ho ancora digerito», le parole di Torrente, che dopo una vacanza in Corsica è tornato in Liguria. «Avevo un sogno, un obiettivo: portare il Padova in Serie B. Mi è stato impedito di inseguirlo. L’esonero è stato inaspettato, soprattutto perché una settimana prima era stato a cena con il presidente, l’amministratore delegato e il direttore sportivo. Nessuno mi aveva espresso malcontento sull’andamento della squadra, anzi si era parlato di come pianificare i playoff. Poi mi hanno cacciato, ma se erano scontenti perché non me l’hanno comunicato prima?».

La motivazione data era quella di una squadra spenta e che aveva bisogno di una scossa. Lei avrebbe saputo trovare le contromisure?

«Eravamo reduci da 12 partite disputate in 40 giorni, un tour de force che ci ha tolto energie fisiche e mentali in un periodo in cui eravamo già molto provati dalla rincorsa al Mantova. Come se non bastasse, ci avevano aggiunto un’amichevole a Udine della quale avrei fatto a meno. La flessione ci stava, ma ero convinto che dopo la fine del campionato sarebbe bastato tirare il fiato per tornare a vedere il Padova del girone d’andata».

Il Padova del girone d’andata, però, è sembrato svanire dopo lo 0-5 contro il Mantova. Secondo lei il mercato di gennaio ha rotto gli equilibri?

«Io dissi dopo Trieste che bisognava stare attenti ad operare sul mercato invernale perché gli equilibri di squadra sono sempre sottili. Poi dopo la sconfitta nello scontro diretto è cambiato tutto, ma il mercato lo fa la società, io penso solo ad allenare i giocatori e al massimo fornisco un parere su eventuali acquisti. Ma avevo chiesto solo tre rinforzi: un difensore veloce, un alter ego di Radrezza e un attaccante al posto di De Marchi».

Perché reputa ingiusto l’esonero?

«Per me parlano i numeri. Ho raccolto 106 punti in 55 partite, quasi due di media a gara. Siamo entrati nella storia del Padova come unica squadra a concludere imbattuta il girone d’andata. E il tutto senza un obiettivo chiaro indicato dalla società. Sono stato solo io, il giorno della partenza per il ritiro, a dire che puntavamo al primo posto. L’ho fatto assumendomi una responsabilità necessaria nei confronti di una piazza che in Serie C deve ambire solo a vincere. Ma al di là dei numeri mi gratifica il rapporto che ho costruito con i giocatori, la maggior parte dei quali mi ha chiamato dopo l’esonero, e con l’ambiente intero».

Cosa le ha lasciato Padova?

«L’idea che sia una piazza da Serie A ma con problemi cronici che non si riescono a risolvere. Come si fa a non avere una curva per 30 anni? Abbiamo fatto il record di punti in uno stadio senza curva, pensate cosa avremmo potuto fare con i tifosi a ridosso del campo. Ho capito che la gente ha passione ma va coinvolta. La città è splendida e sono felice di averla conosciuta. Auguro al Padova di ritrovare presto non solo la Serie B ma anche la Serie A. Lo auguro soprattutto al presidente Peghin che se lo merita».

L’anno prossimo può essere quello buono?

«Lo spero. Aver mantenuto lo zoccolo duro è sicuramente positivo e il Padova, dopo l’ultimo secondo posto, parte con i favori del pronostico. C’è bisogno però di compattezza, dentro e fuori dal campo».

Lei da dove ripartirà?

«Ho rifiutato alcune proposte che non mi convincevano, spero mi capiti l’occasione giusta. A Padova ho dimostrato il mio valore e sarò comunque grato alla società che mi ha dato l’opportunità di rimettermi in gioco in una piazza importante. A conti fatti mi porto dietro più cose belle che negative. E anche a 58 anni non si smette di imparare. Io, ad esempio, ho imparato a diffidare da chi ti dice: “fidati di me”». —

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