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Sfruttamento sul lavoro nei Balcani, abusi su residenti e migranti

Sfruttamento sul lavoro nei Balcani, abusi su residenti e migranti

I settori e le cifre: la mappa tracciata da un think tank fa il punto sul fenomeno nella regione

BELGRADO Cittadini balcanici o stranieri, migranti o locali, serbi, bosniaci, albanesi ma anche cinesi, vietnamiti o turchi. Un filo rosso li lega: lo sfruttamento sul lavoro, il fatto di essere maltrattati, male pagati, a volte schiavizzati.

Sono i contorni di un fenomeno complesso e di difficile lettura, che starebbe subendo una forte recrudescenza negli ultimi anni. È quello della cosiddetta “labour exploitation”, lo sfruttamento dei lavoratori, spesso stranieri: una tendenza a cui i Balcani non sfuggono, tutt’altro.

Lo ha denunciato l’autorevole Global Initiative Against Transnational Organized Crime (Gitoc), uno dei think tank da sempre più attenti ai fenomeni criminali nell’Europa centro-orientale e nella regione balcanica.

Il Gitoc ha pubblicato in questi giorni un’ampia ricerca dedicata proprio a chi è «forced to work», obbligato a lavorare nell’area in condizioni quantomeno precarie e umilianti. Non sono pochi: tra il 2018 e il 2023 le autorità della regione hanno confermato quasi 800 casi. Ma quelle cifre sarebbero solo la punta di un iceberg.

Perché il fenomeno avrebbe un’ampiezza di dieci, venti volte maggiore, hanno spiegato i ricercatori dell’Iniziativa, citando stime della società civile della regione. Il fFenomeno - più marcato in Albania e Bosnia-Erzegovina e meno in Kosovo - è estremamente complesso e dalle molte sfaccettature.

Di certo coinvolge i migranti e i rifugiati in transito per la Rotta balcanica: «tutte le Ong» sentite per realizzare lo studio hanno confermato che «la popolazione di migranti» è vittima della tratta di esseri umani e allo stesso tempo di sfruttatori del loro lavoro, spesso irregolare, ma necessario alla loro sopravvivenza o per trovare i fondi per proseguire nel viaggio verso l’Europa più ricca.

Gli oppressi sono tuttavia anche abitanti del posto, albanesi, bosniaci, serbi e via così, come pure stranieri arrivati di proposito nei Balcani per colmare i buchi lasciati sul mercato del lavoro dai tantissimi emigrati.

I settori più a rischio sfruttamento sono «edile, tessile» e alberghiero e della ristorazione, ha spiegato Gitoc, raccontando di comparti dove vanno per la maggiore «compensazioni inadeguate», ben sotto il salario minimo, «ore di lavoro eccessive», straordinari non pagati, niente ferie e malattie retribuite. Gli esempi non mancano, negli ultimi anni. Un bosniaco, operaio edile, ha svelato di lavorare dieci ore al giorno assieme ad altri 85 colleghi, esposto a sostanze tossiche e pericolose.

Il tutto per 350 euro al mese, in nero naturalmente. Gli sfruttati vengono pescati da un bacino enorme di disoccupati e persone in povertà, tanti giovani, da cui imprenditori disonesti possono attingere, offrendo contratti fittizi o lavoro in nero. Ci sono poi gli immigrati. Come i taiwanesi, obbligati a operare in un network di frodi online messo in piedi in Macedonia del Nord e in Montenegro; o gli operai turchi sfruttati sempre in Montenegro. Lo stesso destino è toccato a cittadini sempre della Turchia, costretti a lavorare «come schiavi» in Serbia.

Ma non sono solo i pesci piccoli a galleggiare nell’oceano dello sfruttamento. Il rapporto denuncia infatti anche il caso della grande fabbrica di pneumatici in Serbia, in via di costruzione da parte di un colosso asiatico. Nella realizzazione dell’impianto sarebbero stati ingaggiati moltissimi vietnamiti, costretti a dormire in baracche malsane, con orari di lavoro fino a dodici ore al giorno. E minacciati di espulsione se si fossero lamentati. —

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