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Incursione ucraina in Russia, tutti i perché.



Qualcosa di significativo sta avvenendo nella regione russa di Kursk. Lo affermano fonti d’intelligence occidentali e lo confermano le stesse fonti d’intelligence del Cremlino, quantomeno disorientate per l’inaspettato rivolgimento di uno dei «fronti caldi» della guerra, quello di Kharkiv, che vede spostare i combattimenti sempre più all’interno del territorio russo. Da tre giorni, infatti, Kiev ha sorprendentemente lanciato quella che di ora in ora va assumendo i contorni di un’offensiva vasta e in piena regola, apparentemente riuscita.

I rapporti dalle prime linee riferiscono che le truppe ucraine sono penetrate per oltre 10 km all’interno del territorio russo, realizzando la più profonda avanzata transfrontaliera di Kiev da quando Mosca ha lanciato l’invasione su larga scala nel febbraio 2022. Secondo l’esercito russo, nella regione di Kursk sono ora presenti unità scelte di fanteria ucraine: almeno mille uomini, sostenuti da blindati e forse anche carri armati con la copertura di sciami di droni e missili, da martedì mattina stanno avanzando senza sosta. Per il momento non risulta l’impiego di F-16, ovvero degli aerei da caccia appena arrivati in Ucraina direttamente dagli hangar d’Europa. Forse i jet serviranno in un secondo momento, per consolidare posizioni eventualmente conquistate (per adesso, sorvolano la zona di Kherson).

Non solo. L’esercito ucraino ha colpito duramente anche l’aeroporto russo di Lipetsk, a più di 350 km dal confine con l’Ucraina, con un’incursione notturna. Le autorità regionali russe hanno dichiarato lo stato di emergenza nell’area, confermando che gli strike – probabilmente missili teleguidati – hanno distrutto almeno un «impianto di infrastrutture energetiche». Insomma, come afferma il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, «Mosca deve sentire le conseguenze della sua invasione dell’Ucraina. […] La Russia ha portato la guerra nella nostra terra e deve sentire ciò che ha fatto» ha riferito, pur senza fare esplicito riferimento all’offensiva in corso. E pare proprio che stia riuscendo nell’obiettivo, visto che al Cremlino questa iniziativa viene ora percepita come un’umiliazione inaccettabile. Ma questa «soddisfazione» non può certo bastare all’Ucraina.

Quale obiettivo si pone davvero Kiev con la sortita verso Kursk? Quella che martedì poteva apparire soltanto come una manovra di alleggerimento, col passare dei giorni sembra invece una scelta strategica ponderata, che punta a raggiungere almeno due obiettivi di rilievo: il primo, che sarebbe già stato acquisito dagli ucraini, è la stazione di controllo del gasdotto nei pressi della cittadina di Sudzha (a 8 chilometri dal confine), dove transita circa la metà del gas russo diretto in Europa. Ma c’è un secondo obiettivo ancora più ambizioso nella mente dei generali ucraini: la grande centrale nucleare di Kursk, di epoca sovietica. Ottenerne il controllo sarebbe – questo sì – uno smacco incredibile per la Russia di Putin, il segno di un evidente fallimento della strategia dei suoi comandanti (peraltro silurati uno dopo l’altro in questi 900 giorni di guerra). Kiev, insomma, starebbe puntando a replicare una «Zaporizhzhia russa» ovvero la centrale ucraina, anch’essa risalente all’epoca sovietica, occupata dai soldati russi già nel marzo 2022. Da allora, Zaporizhzhia è al centro sia delle preoccupazioni ucraine per i continui sabotaggi energetici nella regione, sia delle preoccupazioni internazionali a causa di un possibile incidente atomico eventualmente provocato dai combattimenti tutt’intorno.

Se le truppe di Kiev dovessero riuscire nel loro obiettivo, la questione si farebbe davvero difficile per Mosca, anche e soprattutto in vista di un negoziato che – secondo alcune fonti diplomatiche, non soltanto occidentali – si vorrebbe apparecchiato entro la fine del 2024 o al più tardi nella primavera del 2025. In tal senso, la mossa di Zelensky di sacrificare un numero non esiguo di truppe e mezzi (di cui Kiev è già a corto da mesi), avrebbe un senso. Tuttavia, finché non emergerà lo scenario più ampio di questa incursione, il vero scopo delle forze armate ucraine rimane un enorme punto interrogativo. Disperazione o lungimiranza? La risposta sui veri obiettivi strategici che Kiev si è prefissa può darla al momento solo Oleksandr Syrskyi, il relativamente nuovo comandante delle forze ucraine: sopportare perdite significative in battaglie di logoramento in prima linea è una mentalità sovietica, e tanto Syrskyi quanto i comandanti russi come Valery Gerasimov appartengono a quell’epoca. Ma le nuove generazioni sono pronte allo stesso sacrificio? Lo vedremo presto.

Di certo, dopo il fallimento della tanto annunciata controffensiva, da mesi l’Ucraina si trova a resistere come può all’avanzata russa, che lentamente ma inesorabilmente procede (come verso i centri militari ucraini di Pokrovsk e Sloviansk), conscia della scarsità delle difese di Kiev, logorate da quella che sinora era mutata in una guerra di attrito. Ma la novità di Kursk sembra voler rimettere tutto in discussione, perché Mosca si è trovata improvvisamente a dover fare i conti con la linea del fronte più essenziale: il proprio confine. Vero è che l’Ucraina eccelle da tempo nel colpire in maniera mirata – e con l’aiuto dell'Occidente – infrastrutture interne della Russia, distruggendo piste di atterraggio, basi militari e terminali petroliferi, e affondando una dopo l’altra le navi della flotta del Mar Nero, nel tentativo di causare quanti più danni possibile alla macchina da guerra di Mosca. Stavolta, accade qualcosa di diverso: inviare una (relativamente) grande forza di terra a chilometri di distanza dal territorio nemico, dove le linee di rifornimento ucraine sono più difficili e gli obiettivi sono per definizione più difficili da perseguire, è un vero e proprio azzardo. E come minimo deve valerne la pena.

Di certo, la mossa preannuncia la volontà di Kiev di aprire una nuova fase del conflitto: non perché le incursioni in Russia da parte dell’Ucraina siano in qualche modo nuove (da oltre un anno, infiltrati ucraini e ribelli russi che si oppongono a Putin colpiscono Belgorod e le zone limitrofe al confine russo-ucraino), ma perché in questo caso si tratta dichiaratamente dell’esercito ucraino regolare che sferra un attacco in piena regola alla Russia.

Perché adesso? Forse perché per la prima volta da due anni a questa parte, si comincia a parlare di una «vera» conferenza di pace organizzata dall’Ucraina stessa e dai suoi alleati, dove la Russia verrebbe invitata a partecipare per negoziare una soluzione definitiva. Quando? Prima che Washington abbandoni al proprio destino gli alleati (atteggiamento tipico degli Stati Uniti), ovvero prima che una possibile presidenza Trump possa cambiare le carte in tavola. Se infatti la vice e candidata presidente Kamala Harris potrebbe mantenere la stessa fermezza tenuta dal presidente Biden sull’Ucraina, è bene ricordare che «la politica estera occidentale è una bestia volubile e facilmente esauribile», come suggerisce l’analista Usa Nick Paton Walsh. Il persistente sostegno della Nato all’Ucraina, infatti, è un’eccezione e una novità recente. Zelesnky lo sa, e ne è conscio anche Putin, che si è affrettato a dire come l’incursione verso Kursk allontani i negoziati anziché avvicinarli. Sarà vero?

Di sicuro, se una soluzione negoziale è davvero meno lontana che in passato, entrambe le parti in guerra si affanneranno da qui e fino a quel giorno a migliorare il più possibile la propria posizione sul campo di battaglia, per essere certi di avere in mano almeno una o più carte vincenti da scambiare prima di sedersi al tavolo. Il che prelude inevitabilmente a ulteriori scontri, rivolgimenti di fronte e bagni di sangue.

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