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La foce dell’Isonzo restituisce un pezzo della Grande Guerra

Le quattro imbarcazioni in ferro allineate in una sequenza di circa 80 metri di lunghezza (una ventina di metri di ingombro ciascuna) per sei e mezzo di larghezza, hanno riportato il mare di casa nostra alla Prima Guerra mondiale, nello scenario della ritirata di Caporetto. Erano il supporto logistico alle batterie italiane dislocate sulla foce dell’Isonzo. Sono state fatte inabissare di proposito per non finire nelle mani nemiche. È la ricostruzione accreditata ai relitti dal professor Massimo Capulli, massimo esperto in archeologia subacquea, del Dipartimento di Studi umanistici e del Patrimonio culturale dell’Università di Udine, che si è immerso nell’area del rinvenimento tracciando le “coordinate” in fatto di datazione e contesto storico.

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La scoperta di un pescatore

La scoperta consegna un nuovo tassello del complesso e lungo imperversare delle battaglie lungo l’Isonzo. È stato un pescatore, Francesco Regolin, a imbattersi nella preziosa testimonianza. Ha una casetta nell’area della foce del fiume. Transitando con la sua barca al largo della Riserva naturale, in prossimità dell’Isola della Cona, le strumentazioni di bordo hanno rilevato l’anomala presenza, una “sagoma” dalla forma innaturale, a una profondità di sei metri. Il pescatore a quel punto ha pensato bene di segnalare la circostanza ai Carabinieri Tutela Patrimonio culturale di Udine, con competenza nel Fvg.

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Il documentario

E dire che lo scrittore e giornalista Pietro Spirito sta concentrando le sue indagini proprio sulle tracce sommerse della Grande Guerra, tanto che assieme al regista Luigi Zannini è alle prese con la realizzazione di uno specifico documentario. Il convoglio, sempre secondo quanto ipotizzato, costituirebbe uno tra i primi, se non più grande rinvenimento del primo conflitto nel Golfo di Trieste. La “full immersion” nella foce dell’Isonzo si è articolata a fine luglio, ed è durata tre giorni.

Il monitoraggio

Le operazioni di verifica hanno contestualmente rappresentato il monitoraggio di un vasto specchio di mare compreso tra Grado e Punta Sdobba, a bordo della Motovedetta CC 401, in collaborazione con il Nucleo Carabinieri Subacquei di Genova. Un’attività intensa, anche di tutela dell’archeologia subacquea, svolta insieme appunto al Dipartimento di Studi umanistici e del Patrimonio culturale dell’ateneo udinese, nonché al personale della Soprintendenza del Friuli Venezia Giulia. Del resto, le attività ispettive, come spiegato in una nota del Comando Tpc di Udine, si ripetono a cadenza annuale.

È stata un’operazione in sinergia, dunque, grazie inoltre all’ausilio di altri comparti di specialità dell’Arma, nel caso il Nucleo Subacquei di Genova, e la Motovedetta classe 400 di stanza alla Stazione Carabinieri di Grado. Le supervisioni sono periodiche per sondare i fondali marini e completare le attività di studio, compresa la sorveglianza dei siti marini già noti.

L’imbarcazione Grado 2

A fine luglio l’attenzione è stata posta su un’imbarcazione risalente al III secolo a.C., battezzata “Grado 2”, rinvenuta alcuni anni fa a circa sette miglia al largo di Grado, a 19 metri di profondità. Dal 2012 il bene sommerso è stato protetto applicando un sistema metallico modulare ai fini della valorizzazione “in situ”. Interventi a carattere preservativo rispetto agli agenti naturali, ma anche per impedire possibili sottrazioni illegali di antichi manufatti, trattandosi evidentemente di reperti di interesse storico-archeologico-culturale di proprietà dello Stato.

La ritirata di Caporetto

Intanto il valore e la bellezza delle chiatte, alla fonda, ossia ancorate al fondo marino, ha indotto il professor Capulli a collocarle nell’ambito della ritirata di Caporetto: il convoglio peraltro ha consegnato l’evidenza di esplosioni. Con ciò rendendo verosimile che nell’ottobre 1917 siano state fatte affondare perché impossibili da salvare, sottraendole al nemico, durante il ripiegamento delle truppe sull’Isonzato. Tra il 27 e 30 ottobre, mentre le batterie italiane sull’Isonzo continuavano a tirare contro gli austriaci in piena avanzata, il Comando di Grado cercò di recuperare armi, munizioni e galleggianti, sotto il fuoco dell’artiglieria austro-ungarica e in condizioni atmosferiche proibitive. Un altro significativo “scorcio” della storia infuocata dalle battaglie sul fiume, combattute nel settore del litorale fra Monfalcone e Tagliamento.

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