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La Serie A più straniera di sempre: 10 club 20 su non parlano italiano

La Serie A più straniera di sempre, con metà dei club in mano a proprietà straniere e un allineamento progressivo verso quanto accade da tempo nelle top leghe d'Europa. Complice la promozione nella massima divisione di Como, Parma e Venezia, tutte in mano a fondi o imprenditori non italiani, il conto dei club che non parlano italiano nei loro vertici è salito a 10 su 20 con il coinvolgimento non solo di realtà medie o piccole, ma anche di piazze storiche. Milano, ad esempio, vive ormai da anni lontana dalle storiche proprietà made in Italia e il passaggio da Suning al fondo Oaktree nello scorso mese di maggio non è stato che un'evoluzione del nuovo quadro che riguarda anche il Milan, dal 2017 uscito dal controllo italiano e transitato da Yonghong Li a RedBird passando per Elliott.

Inter, Milan, Roma, Atalanta, Bologna, Fiorentina, Genoa, Como, Parma e Venezia: metà del campionato di Serie A parla straniero e in alcuni casi si tratta di proprietà solide e ricchissime che hanno progetti di consolidamento nel grande calcio che vanno oltre il medio periodo. E' il caso del Como del magnate indonesiano del tabacco Robert Budi Harton cui è accreditato un patrimonio personale di 26,5 miliardi di euro di poco superiore a quello del fratello. Non sorprende, dunque, che da un paio di anni il Como sia stato metà delle visite calcistiche di grandi nomi e che la campagna acquisti della prima estate in Serie A abbia ricalcato le ambizioni di chi vuole creare una squadra subito competitiva.

Le società che non hanno cambiato guida negli ultimi lustri si contano ormai sulle dita di una mano. Restando alla Serie A, dal 2010 al 2023 ci si ferma a Juventus, Lazio, Napoli, Empoli, Torino e Udinese. Secondo quanto pubblicato dal Report Calcio 2024 nello stesso arco di tempo in tutto il calcio professionistico italiano (dalla A alla C) sono state 205 quelle che hanno cambiato catena di controllo almeno una volta, 6 su 10 tra quelle che sono sempre state presenti nei campionati professionistici. In 9 casi su 24 il nuovo azionista di maggioranza proviene dall'estero.

Una tendenza non solo italiana. Tornando al 2023, ultimo anno in cui i dati dei bilanci sono ufficiali e depositati, in tutta Europa con esclusione della Bundesliga tedesca la percentuale di proprietà straniere era in crescendo. In Germania una legge mette limiti fortissimi all'arrivo nel calcio di capitali da fuori, ma in Premier League (15 su 20), Ligue1 (10 su 18) e Liga (5 su 20) la fotografia era simile a quella italiana. Club che incidono per il 56% del fatturato complessivo e per oltre la metà (52%) della fan base sui social media.

Analizzando le 38 proprietà straniere nei top campionati nel 2023 oltre alle ownership che riguardano complessivamente 58 club, il settore di provenienza più rappresentato era quello dello sport e degli investimenti finanziari. I fondi hanno messo da tempo le mani sul calcio del Vecchio Continente e adesso lo stanno facendo su quello italiano, convinti di riuscire a sviluppare piani sostenibili e remunerativi come accaduto altrove. E ci si avvicinano fondi con grandi capacità, se è vero che dei 1415 miliardi di dollari di ricchezza dei proprietari stranieri del calcio in Europa il 73% (1035 miliardi) viene da fondi con sede in Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. Oltre a quelli di matrice statunitense.

Portano ricchezza? La risposta è in un dato. Dal 2011 al 2023 il calcio professionistico italiano ha avuto bisogno di 6,947 miliardi di euro di ricapitalizzazioni per continuare a funzionare. Denaro immesso nel sistema spesso a fondo perduto per compensare passivi enormi e crescenti. Ebbene, solo il 37% (2,5 miliardi) è arrivato dall'Italia, tutto il resto da fuori con predominanza Usa (2 miliardi) e cinese (1,2). Tradotto: il made in Italy non esiste quasi più ormai da tempo. La scommessa è continuare ad attrarre capitali senza i quali la prospettiva è quella di un brusco ridimensionamento.

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