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Presidenziali Usa, un voto deciso anche dalle “mance”?

Meno tasse sulle mance. A prometterlo quando mancano meno di 100 giorni alle presidenziali Usa è Kamala Harris.La candidata democratica ha infatti puntato su uno dei temi che stanno più a cuore ai very normal people d’America: le tips. Se in Europa può sembrare un argomento di secondo piano, negli States le mance sono croce e delizia per chiunque vada a mangiare o bere fuori, persino un caffè. Al prezzo finale della consumazione, infatti, vanno sempre aggiunte le tasse e la mancia, appunto. Che però negli anni è passata dall’essere un modo per manifestare il gradimento del servizio ricevuto o un riconoscimento al lavoro (spesso sottopagato) dei camerieri e lavoratori dei locali, a un vero e proprio balzello. Non a caso ormai non si lascianoi contanti (in molti posti appositi cartelli vietano la cosiddetta tip in cash), bensì con carta di credito o debito. Come se non bastasse, però, a volte si aggiunge alla cifra totale sulla quale sono appunto calcolate le imposte. Il risultato è un conto finale che può lievitare a dismisura.

Da qui lo slogan lanciato da Kamala Harris, che certo non è passato inosservato: la CNN, in un articolo sulla home page del proprio sito, ha riportato la notizia della proposta dem, ricordando però come fosse parte del programma elettorale di Donald Trump. Secondo l’emittente si tratta di un modo di aumentare il proprio consenso soprattutto tra i lavoratori deiservizi della ristorazione. Il tema, infatti, è stato rilanciato in occasione di un comizio tenuto di recente a Las Vegas in Nevada, a cui era presente una vasta rappresentanza dell’Unione degli addetti al comparto alimentare. “Vi prometto che, quando sarò Presidente, continueremo la nostra battaglia per le famiglie dei lavoratori d’America, inclusa quella per l’aumento del salario minimo, e l’eliminazione delle tasse sulle mance per il servizio e l’accoglienza da parte degli impiegati”, ha detto Harris. Il problema è che parole pressoché identiche erano state pronunciate dal suo avversario, il candidato repubblicano, in un identico comizio nella stessa località, appena lo scorso giugno.

Donald Trump non ha quindi perso l’occasione per accusare la Harris di averlo copiato. “Kamala Harris, la cui “luna di miele” (con gli elettori democratici, NdR) è finita e sta iniziando a subire il colpo dei sondaggi, ha semplicemente copiato la mia NO TAXES ON TIPS Policy”, ha scritto il tycoon in un post sul proprio social Truth. “La differenza è che lei non lo vuole davvero – ha rincarato Trump – ma lo dice a mero scopo politico. Questa è un’idea di Trump – anche perché le non ha idee, lei può solo rubarmele. Ricordate, Kamala ha proposto il più consistente aumento delle tasse della storia – Non succederà. Make America Great Again!!!”, ha concluso l’ex capo della Casa Bianca.

Di sicuro entrambi hanno toccato un nervo scoperto. Per fare un esempio concreto, sullo scontrino di fine cena o happy hours compare sempre l’indicazione della mancia “consigliata”, che va un minino del 18%, al 20%-22% o, in alcuni casi anche il 25%. Per un conto medio per 4 persone, con una sola portata ciascuno, si spendono mediamente 100 dollari (non in ristoranti raffinati). Significa che, se si volesse optare per un “arrotondamento” medio, si arriverebbe a 120 dollari, ai quali aggiungere ancora almeno il 12/15% di tasse, tra locali e non. Tradotto in cifre vuol dire sborsare non meno di 138 dollari. Intanto la campagna elettorale entra nel vivo, come confermano le dichiarazioni di TedPappageorge, segretario e tesoriere della Culinary Union Local 226 del Nevada, che ha espresso il proprio appoggio alla Harris: “È certamente necessario un cambiamento per i destinatari delle mance, i lavoratori del Nevada sono sufficiente intelligenti per capire la differenza tra soluzioni reali e promesse selvagge da campagna elettorale, che arrivano da un criminale pregiudicato”.

A prescindere dagli endorsment, se quello di Kamala Harris è il primo proposito concreto dalla sua discesa in campo, un mese fa, Donald Trump nel frattempo ha dedicato spazio alla politica estera, rivolgendosi direttamente ai Paesi membri della NATO e dell’Unione europea. Il motivo è noto: gli Usa chiedono da tempo agli Alleati di impegnarsi di più economicamente, raggiungendo almeno il 2% del PIL di investimenti. Un traguardo che, secondo il segretario generale uscente della NATO, Jens Stoltemberg, è già realtà per 23 Paesi su 32 (nel 2021 erano solo in 6). La guerra in Ucraina e la crisi in Medio Oriente hanno sicuramente inciso, ma il timore di un disimpegno statunitense dall’Alleanza ha spinto i governi ad aumentare il budget destinato alla difesa. Oggi la domanda più ricorrente tra gli analisti è se, con un ritorno di Trump alla Casa Bianca, gli Stati Uniti potrebbero realmente decidere di abbandonare la NATO (e l’Europa), concentrandosi sul versante dell’Indo-Pacifico, dove in questo momento. C’è chi, come Foreign Policy, già da tempo ha espressamente appoggiato la linea del tycoon, (Trump is Right on NATO Spending, titolava a marzo). Ma persino il non accondiscendete Wall Street Journal si è già spinto a sostenere che Trump potrebbe consentire un nuovo slancio all’Allenza. È l’opinione del commentatore Mark A.Thiessen che, dalle colonne del quotidiano newyorkese, non spiega come Trump potrebbe giovare alla NATO (How Trump can make NATO Great Again), ma avvalora anche l’ipotesi che moltiStati possano superare la soglia del 2%, aumentando ulteriormente la spesa militare fino al 3% o 4%. Altro che percentuale da mancia!

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