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Due considerazioni sul perché Arianna Meloni è finita nel mirino

Aleggia il fantasma di un’inchiesta giudiziaria nei confronti della sorella della premier, Arianna Meloni, responsabile della segreteria politica di Fratelli d’Italia. Nulla di certo, ma circola insistentemente quella formula, “traffico di influenze”, che nel recente passato è stato il grimaldello giudiziario per imbastire numerosi fascicoli (tra gli altri, Beppe Grillo, Italo Bocchino, Tiziano Renzi, Federica Guidi) finiti in un buco nell’acqua. La miccia è stata accesa da alcuni organi di stampa (Fatto Quotidiano e Repubblica) e poi rinfocolata da un partito politico (Italia Viva) sulla base dell’ipotesi che Arianna Meloni abbia esercitato un ruolo attivo nei dossier relativi ad alcune nomine, riguardanti Ferrovie dello Stato e Rai. “Un sistema di potere che usa ogni metodo e ogni sotterfugio pur di sconfiggere un nemico politico che vince nelle urne la competizione democratica", ha detto all’Ansa il presidente del Consiglio.

Due considerazioni. La prima: esiste o meno un interessamento giudiziario nei confronti della sorella della premier? Non possiamo dirlo, ma certamente è possibile. Senza agitare spettri complottistici, il triste dato di fatto è che, dopo il caso Toti, non possiamo escludere più nulla. Vale a dire: dopo che un governatore in carica è stato tenuto sulla graticola dei domiciliari per tre mesi, per riconquistare la libertà solo dopo aver lasciato il suo ruolo politico democraticamente assegnato, il tutto tra gli osanna dell’opposizione per il disarcionamento, allora davvero tutto può accadere. La separazione tra valutazione giudiziaria e valutazione politica oggi come non mai appare labile. Non sappiamo quanto del famigerato “sistema Palamara” (il triangolo procure-partiti-giornali) sia ancora attivo e prepotente, nei palazzi di giustizia italiani. Detto questo, è certamente curioso che il più scatenato, in queste ore, sia Matteo Renzi e la sua cerchia, proprio lui che sugli sconfinamenti giudiziari vanta una certa esperienza, avendone subito più d’uno in passato.

La seconda considerazione è più politica. Ammesso e non concesso che Arianna Meloni si sia occupata di nomine (l’interessata ha seccamente smentito), proviamo a fare un discorso più generale. Stiamo parlando della responsabile della segreteria politica del primo partito di maggioranza: se non si occupa lei di intavolare discussioni politiche (magari anche sulle nomine) francamente non si capisce chi debba farlo. Qualcuno farà l’azzeccagarbugli facendo notare che le nomine sono terreno esclusivo del governo, e non dei parlamentari. Ma pensare così significa vivere sulla luna. Le vicende della Repubblica italiana raccontano un’altra storia: le nomine le hanno sempre fatte i partiti. Giuste, sbagliate, meritocratiche o meno, ma le fanno i partiti. Anzi, talvolta nemmeno i partiti, ma addirittura le singole correnti, gli spifferi, i capigruppo, i capibastone, i potentati nazionali e locali. Piaccia o non piaccia, così è sempre stato con la sinistra al governo, in tutte le sue sfumature di rosso, così è sempre stato con i potentissimi segretari delle conventicole partitiche nella prima, nella seconda e nella terza repubblica: e così teoricamente dovrebbe funzionare quando governano gli altri. Invece anche in questa polemica emerge una visione sbilenca: come se lo spoil system col timbro di sinistra fosse normale avvicendamento di governo, mentre lo spoil system (ipotizzato) degli avversari fosse una notizia di reato, o perlomeno fonte di scandalo giornalistico. Vedremo se dalle procure o dai loro terminali giornalistici uscirà qualcosa di nuovo e di certo. Nel frattempo, se questo è il clima già a fine agosto, alla ripartenza della stagione politica troveremo i pozzi già avvelenati.

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