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Viaggio tra i ragazzi di borgo Stazione: come si vive nella zona rossa di Udine

Se, secondo una regola pressoché universale delle realtà urbane, alcuni quartieri di Udine presentano tratti che ne definiscono l’identità, nel caso di Borgo stazione non è difficile individuare quale ne sia la specifica cifra: l’insicurezza.

Pochi lettori si saranno stupiti davanti al servizio pubblicato su questo giornale a Ferragosto che riportava la testimonianza di una residente esasperata da fenomeni documentati con la cruda nudità di foto e video.

Quello che affiora è un quartiere allo sbando, ostaggio di gang forestiere che si aggregano e disaggregano come molecole impazzite generando una nefasta entropia in cui risse, spaccio, alcolismo molesto concorrono a formare un quadro di mortificante degrado.

Realtà zona rossa

Possedendo anche lui un ricco archivio in stile telefilm poliziesco, chi scrive non può che confermare la diagnosi.

Ma davanti a qualcosa che turba e altera gli equilibri di un intero territorio, bisogna fare uno sforzo in più e tentare di contestualizzare, spiegare, inquadrare più precisamente quel che sta accadendo e soprattutto dove. Comincerò proprio da qui, ricordando che i problemi non riguardano l’area nella sua interezza, ma una sua ben delimitata porzione.

Il già famoso quartiere delle magnolie si sviluppa infatti lungo undici vie nella maggior parte delle quali non si percepisce nulla di minaccioso. Esiste invece una zona rossa ed è il triangolo viale Europa Unita, viale Leopardi, via Roma.

Quest’ultima in realtà, a detta anche dei commercianti, si è fatta negli ultimi tempi più tranquilla, a differenza di viale Leopardi che da tre anni a questa parte si è trasformato in un turbolento crocevia.

Ho non a caso eletto da tempo a posto di osservazione un bar che sorge proprio in viale Leopardi all’uscita dell’autostazione e i cui tavolini sempre affollati consentono un monitoraggio in presa diretta di quanto accade.

È questa superficie composta dallo stesso marciapiede e dalle panchine poste nell’aiuola spartitraffico che costituisce il palcoscenico quotidiano dei comportamenti sregolati di soggetti di cui noi, impotenti clienti del locale, ci siamo ormai fatti un’idea precisa circa identità, composizione ed estrazione sociale.

Il gruppo

Stiamo parlando di un nucleo davvero piccolo, non più di una ventina di giovani di origine araba o asiatica, al quale si aggrega temporaneamente qualche soggetto venuto da fuori.

In quest’ultima categoria rientra, particolare da non sottovalutare, un certo numero di ragazzi e ragazze italiani, attirati dal fascino della vita di strada e dagli eccessi che ne derivano.

Nulla di nuovo, sotto questo aspetto, per un quartiere che da lungo tempo è centro di gravità per le fasce di popolazione marginali e dagli stili di vita borderline.

Sta di fatto che in questo angolo di vita vissuta pericolosamente è molto facile assistere a episodi inquietanti e alle conseguenti e massicce operazioni di polizia che scattano tempestive grazie a una presenza di forze dell’ordine rafforzata e costante.

Non tutte le scene cinematografiche cui noi clienti del bar siamo costretti ad assistere hanno per fortuna a che fare con la violenza. Non di rado si mobilitano due o anche tre pattuglie solamente per placare qualcuno di questi giovani in evidente stato di alterazione.

Una situazione in ogni caso allarmante soprattutto per il suo protrarsi malgrado la presenza da oltre due anni del dispositivo delle Forze armate.

Il codice penale

Chi conosce la complessità del nostro diritto penale non può stupirsi se gli stranieri che il giorno prima erano stati platealmente fermati e portati via dalle volanti si ripresentano puntuali sul teatro di viale Leopardi.

Ma da chi è davvero composta questa umanità maledetta? Da quanto ho appreso dopo ripetute interazioni, siamo di fronte a un quadro desolante. Non solo molti sono senza fissa dimora, ma hanno dipendenze croniche, salute mentale precaria, trascorsi con la giustizia e in molti casi documenti scaduti o non in regola che impediscono ogni riscatto.

A ciò si sommano scarsa alfabetizzazione e padronanza della lingua italiana, ossia altri due tratti che precludono ogni via di uscita. Mi è rimasta impresso lo stupore di uno di questi ragazzi che mi confidò di voler trovare un lavoro e a cui ho mostrato le pagine web in lingua araba del Centro per l’impiego di Udine.

Forse quella deve essere stata una delle poche volte in cui si è sentito considerato da istituzioni che non indossassero una divisa. In attesa di una via di scampo, i ragazzi si ritrovano ogni giorno nello stesso posto rifugiandosi in una routine che, ma questo loro non lo sanno, è diventato uno dei temi più discussi in questa città.

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