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Quarant’anni e più pescando con l’amo: Ligio Zanini e la sua gente che rispettava il mare

TRIESTE “La togneta” di Ligio Zanini, edito da Ronzani (pagg. 370, euro 20), può sembrare un manuale di pesca; in realtà è molto di più. È un sapiente racconto di quarant’anni e passa di notti e giorni passati sul mare, armato di una lenza, filo di nylon piombino e amo, la togna appunto. Ma in queste pagine Zanini descrive anche una civiltà quasi estinta, che rispettava il mare.

Togna è termine dialettale veneto usato lungo tutto l’Adriatico che l’autore utilizza al diminutivo, soffermandosi con un lessico ricchissimo e dettagliato su quali sono le esche, quali le zone, quali le stagioni migliori, quali i percorsi che i pesci compiono e quindi dove aspettarli al varco. Ma soprattutto ripete le esortazioni alla pesca intelligente, che preserva i pesci perché si riproducano e continuino a offrire nutrimento ai “sapiens”, termine quest’ultimo sempre più discutibile.

Con un meritorio lavoro di curatela l’opera è stata ordinata e divisa il due parti da Gino Belloni, già docente di Filologia e Letteratura italiana a Ca’ Foscari che, oltre a occuparsi di testi antichi e dialetti veneti, è esperto di attività subacquea che l’ha portato a frequentare le coste istro-quarnerine e a conoscere Zanini. Con Belloni ha collaborato Serena Ruzzene, pure lei appassionata filologia, che ha pubblicato il saggio: “Attendendo la pubblicazione della Togneta di Ligio Zanini”.

E veniamo all’autore di Rovigno, considerato il maggiore poeta istriano del Novecento per le sue liriche in dialetto istroromanzo. È stato un idealista integro e ingenuo, coerente fino al sacrificio: gli costerà cara la fedeltà all’internazionalismo, tradito da Tito e dal suo nazionalismo slavo. Zanini se ne accorge e non si adegua. Sconterà tre anni nel famigerato lager titino di Goli Otok. Tragedia tenuta nascosta, che solo molti anni dopo la scomparsa del Maresciallo e la dissoluzione della Jugoslavia, viene svelata dai pochi superstiti e dai loro famigliari. Mogli, mariti, figli degli internati ai quali è stata rovinata l’esistenza, come alla moglie e alla figlia di Zanini.

Lui, vincolato al silenzio, esce dal penitenziario nel 1952 e sopravvive facendo vari mestieri finché potrà fare quello per cui ha studiato, il maestro con l’incarico di riaprire la scuola italiana di Salvore. Aprirà pure un Circolo di cultura italiano. Ma dà fastidio e viene costretto di nuovo a un impiego da contabile a Rovigno. Infine torna a insegnare a Valle d’Istria, riprende a studiare e si laurea in Pedagogia a Pola nel 1979. Negli ultimi anni si ritira a Rovigno “aggrappato alla grota” che l’ha visto nascere, che non ha mai voluto lasciare come tantissimi suoi connazionali, dedicandosi alle sue due passioni: la pesca con l’amo e la poesia. Muore a Pola nel 1993.

Con questo libro Ronzani, piccola realtà culturale di Monticello Conte Otto, novemila abitanti, a dieci chilometri da Vicenza, continua un lavoro di riscoperta e presentazione al più ampio pubblico nazionale della produzione letteraria della comunità italiana d’oltre frontiera, cominciata con le opere di Nelida Milani.

Ricordo che Zanini ha pubblicato varie sillogi dagli Anni ’60 tra cui “Favalando cul cucal Filéipo”. La sua opera più significativa è il Martin Muma, che appare su «La Battana» nel 1990. Se c’è un libro in cui prosa e poesia si amalgamano con naturalezza, questo è proprio il “Martin Muma”, personaggio inventato dal cartoonist Pier Lorenzo De Vita negli anni Trenta sul “Corriere dei Piccoli”, e scelto da Zanini per il suo protagonista. Martin Muma è un bambino gracile, magro, etereo, indifeso, perfetto alter ego dell’autore, che grazie ai suoi versi riesce ad affrontare i tormenti di una vita da uomo-contro, contro tutte le ingiustizie.

Entrando nel merito della Togneta, non bisogna spaventarsi dell’imponente numero di pagine perché il volume è corredato da un indice sulla fauna ittica utilissimo in quanto ci rivela i nomi di tanti pesci che conosciamo soltanto in dialetto, e da ampie note, dai nomi dei luoghi di Istria, Trieste e Quarnero dove si pesca e dei testi che l’autore richiama.

Il diario di Zanini, che ha lottato anche per conservare i resti della cultura istro-veneta “bizantinamente cancellati dai nazionalisti croati” si chiude il 10 febbraio ’92 con un’esortazione all’”amico tognante” com’egli definisce l’ipotetico lettore. “Ho descritto sinceramente il mio modo di pescare con l’amo. Ma per quanto valido si fosse dimostrato tale metodo, non lo considero e mai lo considererò l’unico fattibile di una pesca che, ben s’intende, sia sempre preoccupata di lasciare anche per il domani”.

Parole rimandano a quanto scritto dal filosofo-chef dalmato, ma anche pescatore, Senko Karuza, nel suo “Isola” (edito da Zandonai). Dove, come Zanini quarant’anni prima, lamenta un Adriatico sempre più impoverito dai cambiamenti climatici, certo, ma soprattutto da una pesca dissennata.

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