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Fu tra le prime donne americane al seguito del marito militare: «Caffè, vestiti e consigli, così ci accolsero ad Aviano»

AVIANO. «Poco prima di partire, passando davanti alla fontana e giù lungo la strada, ho sentito una voce potente che cantava le arie del primo atto della Traviata. Una bicicletta si è avvicinata e ho visto che era un adolescente che cantava a squarciagola e la sua voce risuonava per tutto il paese e fino alle colline. Potrò anche lasciare l’Italia, pensai, ma ci sono buone probabilità che ci saranno sempre ragazzi che tornando a casa in bicicletta canteranno Verdi e, se così sarà, il futuro è al sicuro nelle loro mani».

È stato uno dei pensieri di Patricia Whisler, una donna americana che oggi vive a Seattle, ma che tra il 1955 e il 1956 ha vissuto ad Aviano. La sua è stata tra le prime famiglie ad arrivare ad Aviano nel 1955, anno che viene considerato di nascita della Base Usaf.

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Un racconto, il suo, eccezionale perché consente di tornare in una Aviano che non c’è più, appena uscito dalla guerra, vista dagli occhi di chi proveniva dall’altra parte del mondo.

«Arrivai ad Aviano nel maggio 1955, con mio figlio di 18 mesi e mia figlia di 3 – racconta –. Avevo 23 anni. Arrivavamo dalla nostra casa a Berkeley, in California, per rivedere mio marito, Howard, che era di stanza in Italia dall’autunno precedente. Howard era diventato tenente dell’Aeronautica militare dopo la laurea all’Università della California. Era stato trasferito ad Aviano da Udine in occasione della riorganizzazione del personale americano e aveva avuto il tempo di cercare una casa. C’erano diverse abitazioni di nuova costruzione a Pordenone, ma lui amava il fascino, la bellezza e la storia di Castello e la calda accoglienza che qui aveva ricevuto».

A offrire loro una casa fu la famiglia Policreti: «La signora Policreti mostrò a Howard una grande casa antica a forma di V, facilmente riconoscibile proprio nel punto in cui la strada per Castello si divide in due: a sinistra sale la collina verso la tenuta Policreti e poi verso Sacile. A destra, la fontana, il bar e la casa della famiglia Bocus, che era il luogo di ritrovo del quartiere. Howard la scelse subito, ma ci vollero alcune settimane prima che fosse pronta perciò quando arrivammo, alloggiammo all’Hotel Moderno di Pordenone».

Nel giro di uno o due giorni, prosegue, «le nonne (così venivano chiamate le signore del paese ndr) ci dicevano cosa dare da mangiare ai bambini, dove comprare i prodotti, cosa fare per il mal di testa. I giovani venivano a conversare. L’ingegner Policreti passeggiava con Howard nel suo giardino. Ci siamo sentiti a casa. Nonostante l’italiano minimo». Nacquero amicizie mantenute negli anni.

«Non ci mancava nulla – prosegue il racconto – e tutti i nostri amici ci davano consigli su come risolvere i problemi con la casa, l’auto, trovare il carbone per il forno e arrostire il tacchino del Ringraziamento nel forno locale. L’aiuto medico era a portata di telefono. Il nostro buon amico, il dottor Shapiro, era stato assegnato alle basi di Udine e Aviano. Era un medico eccellente e sempre disponibile. Un’abile sarta di nome Santina confezionò vestiti per me e mia figlia e un abito per Jack (che conservo ancora). Mi sono piaciuti molto i tessuti dei negozi di Pordenone, soprattutto un misto lana e seta che non ho mai trovato negli Stati Uniti. Gli utensili da cucina nei negozi di Aviano erano sempre allettanti. Il nostro primo acquisto fu un macinino da caffè e una moka che mio figlio usa ancora».

Patricia ricorda che «la campagna era incredibilmente bella. Le strade intorno a Castello non erano asfaltate, ma ricoperte da una superficie sabbiosa bianca che faceva un bel contrasto con i muri di pietra. La mattina mi svegliavo al suono delle ragazze in bicicletta che arrivavano con i loro secchi in equilibrio sulle spalle per raccogliere l’acqua alla fontana che si trovava quasi davanti alla nostra porta d’ingresso. Le biciclette emettevano un leggero sibilo sulla strada, mentre le ragazze parlavano e ridevano e l’acqua schizzava dentro e fuori dai secchi. Poi si salutavano e si affannavano a risalire la collina».

Un traffico composto soprattutto da Vespe e da Fiat Topolino.

Della vita sociale ad Aviano ricorda che «andavamo spesso in un ristorante a Polcenigo che aveva un pollo meraviglioso. Ci portavamo amici e parenti. E ci piacevano le serate da Oliva ad Aviano, con i canti spontanei della Montanara e degli alpini. Anche i balli. Ci è piaciuto molto esplorare le città e i paesi, le chiese e gli edifici storici di Friuli e Veneto. Le lezioni di storia dell’arte prendevano vita e non potevo credere di vedere tali meraviglie io stessa. Guardo la cartina e cerco di ricordarle. Cividale, Aquilea...».

Dall’America all’Italia appena uscita da un pesante conflitto la differenza era molta, ma Patricia sottolinea che «avevamo una vaga idea di cosa aspettarci dall’Italia che conoscevamo dal film: i vestiti, i tagli di capelli, le Vespe, il contrasto tra antico e il nuovo. Ma siamo rimasti stupiti dall’enorme energia e speranza di una nuova generazione e dalla fiorente creatività che era rimasta latente per tanto tempo».

Tra i ricordi che ancora conserva, il falò dell’Epifania, i canti e la festa di Natale: «A dicembre le mogli degli ufficiali e del personale della base decisero di organizzare una festa per i bambini delle famiglie della base e della scuola vicina. Lavorammo assieme al sacerdote locale per decidere chi invitare e il programma. A 70 anni di distanza non ricordo tutti i dettagli, tranne che mangiammo gelato e biscotti e che i bambini marciarono per tutta la stanza fino all’arrivo di Babbo Natale da cui ricevettero un regalo. La parte migliore dell’iniziativa è stata la possibilità di conoscere meglio il sacerdote e di assicurargli che speravamo di essere coinvolti nelle attività della comunità».

Tra i ricordi anche storie divertenti tra i disguidi con l’arrivo dei rifornimenti da Monaco, e progetti di successo come i corsi di italiano e la cultura che offriva Pordenone, con musica e spettacoli.

Patricia e famiglia ripartirono a marzo 1956: «Non so dirvi quanto mi dispiacesse partire. Non penso Howard lo credesse davvero possibile. Ma partimmo con nostro figlio che parlava prevalentemente italiano».

La coppia è tornata altre tre volte ad Aviano: nel 1962, nel 1968 e nel 2006 e ha avuto modo di ritrovare le persone con cui aveva stretto un forte legame negli anni Cinquanta.

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