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Coach Cahill: “Abbiamo creduto subito all’innocenza di Sinner. Non è stato favorito perché numero 1”

Era un tranquillo martedì di fine agosto, una pigra giornata di avvicinamento allo US Open, ultimo Slam dell’anno. Almeno fino al primo pomeriggio, quando l’annuncio sui social di Jannik Sinner inerente alla sua positività a test anti-doping svolti durante Indian Wells (da cui è stato assolto non avendo colpe in merito) ha scosso le fondamenta del mondo del tennis. In tanti si sono espressi, in buona e in cattiva fede, con commenti più o meno taglienti. E ovviamente si è esposto anche coach Darren Cahill, che ha tratteggiato il miglior quadro della situazione in un’intervista ai microfoni di Chris McKendry di ESPN.

Non abbiamo saputo niente fino a dopo Miami“, spiega l’australiano, “dopo la vittoria del torneo a Jannik è arrivata la notizia da Indian Wells. Hanno ricostruito che doveva essere arrivato da quel particolare spray che Giacomo [Naldi] aveva sulle dita, e hanno così potuto rapidamente dedurre da dove derivasse la positività. Da lì il team legale di Jannik ha dovuto recarsi al tribunale Sports Resolution per annullare la sospensione che era naturalmente arrivata, raccontando la storia così com’era andata. Cioè che Jannik non aveva nessuna parte in essa, che è incredibilmente professionale, che sostiene l’anti-doping e fa tutto il possibile per evitare situazioni del genere. Il tribunale ha accettato la versione, capendo che non c’era nessuna colpa da parte sua, permettendogli di continuare a giocare“.

Una leggerezza che sarebbe potuta costare caro, da parte di due esemplari professionisti, parte integrante del team, come Umberto Ferrara e Giacomo Naldi. Che non saranno presenti allo US Open nell’angolo Sinner: “Abbiamo preso ieri questa decisione, abbiamo discusso, e allo US Open ci saremo solo io e Simone [Vagnozzi] a supportare Jannik. La situazione è molto difficile, chiunque attraversi momenti del genere soffre, come è accaduto a Simona Halep, e vederla soffrire da fuori non è stato bello. E non è stato facile vedere Jannik soffrire, sia mentalmente che fisicamente, nell’ultimo periodo.

Certo, se non si è suoi fan non si nota grande differenza negli ultimi due mesi perché sta ancora giocando bene. Ma un suo fan nota un cambiamento nel suo linguaggio del corpo, nel suo entusiasmo sul campo; inoltre si è ammalato un paio di volte, ha preso la tonsillite. Per ora siamo grati di non aver ricevuto sospensioni, ma voglio solo sottolineare che è un grande ragazzo, il giovane più professionale con cui abbia mai lavorato. Lui non farebbe mai nulla intenzionalmente, si è trovato in una situazione sfortunata. Ma la verità è venuta fuori esattamente com’è, non ha colpe, non ha commesso negligenze. Speriamo che tutto passi e possa continuare a giocare ancora meglio“.

Quello di Jannik non è il primo e non sarà l’ultimo di questi particolari casi. Anzi di recente ha fatto scalpore il caso Halep, citato anche da Cahill, che però a differenza della situazione di Sinner sin da subito è stato di pubblico dominio provocando disagi e gravi sentenze alla rumena. “Non sono molto ben informato sul caso di Simona”, spiega il coach, “ma la conosco, e so che non farebbe mai nulla per conquistarsi un vantaggio, non è nel suo carattere. Non conosco le implicazioni del suo caso in particolare…ma lei non sapeva da dove venisse la contaminazione, quindi le ci è voluto un po’ di tempo per determinarlo. Nel caso di Jannik sapevamo tutto, ci sono voluti 5 minuti per capire da dove venisse la positività, e quindi si è potuti andare rapidamente in tribunale per annullare la sospensione. Credo sia per questo che Jannik abbia potuto mantenere una certa riservatezza.

Disparità di trattamento?

Oltre al fatto che credevamo da subito alla sua innocenza, e non avevamo dubbi che non avesse colpe. Dunque eravamo certi che Sports Resolution gli avrebbe concesso di continuare a giocare e che la ITIA avrebbe fatto chiarezza sul caso chiarendo perché non avrebbe dovuto esserci sospensione. Inoltre non credo il ranking faccia alcuna differenza, tutte le situazioni sono gestite allo stesso modo. Certamente per un giocatore più in alto in classifica può risultare più facile perché puoi permetterti di affrontare correttamente e come si deve il caso. Mentre un giocatore n.300 o 500 al mondo potrebbe non avere le risorse per sostenere le spese legali. Ma sull’integrità di come venga gestita la situazione il ranking non conta“.

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