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A che punto è l’invasione Ucraina in Russia (e perché Putin può ancora sperare).

La campagna d’agosto è entrata nella sua fase più importante: quella del consolidamento dei progressi fatti, tanto (soprattutto) da Kiev quanto da Mosca, che in queste ultime settimane vive un momento altalenante. Il presidente in persona, Vladimir Putin, dalla Cecenia – dove non era più stato dal 2011 e dove è giunto dopo aver marcato visita anche in Ossezia del Nord e Kabardino Balkaria – ha appena ordinato ai suoi militari di «espellere le truppe ucraine dalla regione di Kursk entro il 1° ottobre», convinto che la Russia riuscirà «senza dubbi» a prevalere entro quella data sulle forze ucraine, che ora si sono attestate a 40 km dietro le linee nemiche.

Anche per questo il ministro della Difesa russo Andrei Belousov in una riunione del Consiglio di coordinamento per la sicurezza militare dei territori di confine ha annunciato la creazione dei gruppi di combattimento russi «Belgorod», «Kursk» e «Bryansk» (dai nomi delle tre regioni russe al confine con l’Ucraina interessate degli ultimi scontri) pensati proprio per riorganizzare «la protezione dei cittadini e dei territori dagli attacchi dei veicoli aerei senza pilota e di altri mezzi d’attacco». Insomma, il Cremlino e il presidente Putin in prima persona stanno provando a serrare i ranghi di fronte a questa minaccia inaspettata. Intanto però le manovre dei soldati di Kiev in territorio russo non si arrestano e, dopo aver saltare anche un secondo ponte, nei pressi di Zvannoe, i genieri ucraini ora lavorano per mantenere il vantaggio acquisito con l’invasione e continuano a rallentare gli sforzi del nemico, ma senza spingersi oltre la logica. Infatti, per stessa ammissione del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, i comandi militari ucraini puntano soltanto a mantenere una «zona cuscinetto» da utilizzare poi come merce di scambio in vista di (non ancora pervenuti) futuri negoziati.

Il Cremlino, forse ripresosi dopo lo choc per l’onta subita, ha scelto per il momento di non cadere con tutte le scarpe nella trappola così ben congegnata dal generale ucraino Oleksandr Syrsky – lo stratega del «piano Kursk» - e ha ordinato ai propri comandi di non ritirare le forze russe dalle aree chiave del Donbass, nell’Ucraina orientale, per andare a fermare e respingere gli ucraini a nord. Ciò lascia spazio a molti dubbi e a una sola interpretazione. Se da un lato Vladimir Putin è semplicemente furioso per lo sfondamento ucraino nella regione russa del Kursk, dall’altro si vorrebbe consolare con le «buone notizie» che gli potrebbero presto giungere dal Donbass, dove il suo esercito procede a ritmo costante verso Toretsk, Chasiv Yar e soprattutto in direzione di Prokovsk. Quest’ultima città in particolare ha un valore a dir poco strategico: è l’ultimo grande avamposto lungo la direttrice che punta verso Dnipro, Zaporizhia e le cui diramazioni risalgono fino alla capitale. Soprattutto, Prokovsk è anche uno snodo ferroviario fondamentale nonché il punto di convergenza dei rifornimenti bellici per le truppe di Kiev che difendono le prime linee lungo tutto il Donetsk e il Lugansk, ovunque minacciate.

Anche perché complessivamente sono quasi 400 mila i soldati russi che da oltre un anno sono attestati laggiù. E ancora oggi pressano costantemente sulla linea del fronte alla ricerca di punti deboli per sfondare le difese nemiche, consapevoli che le forze ucraine sono esauste: perché in minor numero (in un rapporto di dieci a uno), perché martellate senza sosta dall’artiglieria russa, e perché si trovano a fronteggiare assalti di piccole unità nemiche quasi senza soluzione di continuità, tanta è la pervicacia russa di consegnare a Putin un risultato tangibile, che manca ormai da troppo tempo. Dunque, per il Cremlino distogliere adesso le truppe dal Donbass per riposizionarle nel Kursk vanificherebbe gli sforzi fatti sin qui. Ed è oltretutto quello che Syrsky e Zelensky desideravano chiaramente ottenere. E che pertanto non accadrà. Altri rinforzi è probabile che giungano semmai dalla Crimea e da altre zone dove i russi sono presenti, ma non dal settore chiave di Prokovsk. Putin infatti ha un’altra visione della guerra: la capitolazione ucraina è secondo lui un fatto inevitabile, una mera questione di tempo. Tempo e mezzi che - a suo dire - alla Russia e al suo esercito non mancano.

Insomma, per i due belligeranti e su entrambi i fronti - Kursk e Donbass - siamo in una situazione delicatissima, aperta tanto quanto incerta, dove sarà anzitutto il prevalere di una strategia militare sull’altra ad accelerare il processo verso il superamento dell’impasse e l’apparecchiatura di un tavolo negoziale di maggior peso rispetto al passato. In gioco, come ormai è fin troppo chiaro, ci sono la fine dell’integrità territoriale dell’Ucraina per come la conoscevamo o la peggiore sconfitta militare della Russia dai tempi del ritiro sovietico dall’Afghanistan.

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