Volley, Caterina Bosetti: “La nostra squadra rappresenta cos’è l’Italia oggi, in ogni sfaccettatura”
“L’Italia di oggi è questa, siamo noi, la nostra squadra in ogni sfaccettatura”. Caterina Bosetti, medaglia d’oro alle Olimpiadi di Parigi con la squadra azzurra di volley femminile, ha condannato così l’ennesimo episodio di razzismo che ha coinvolto la sua compagna di squadra in nazionale, Paola Egonu: il vandalismo ai danni del murale dello street artist Laika che la celebrava fuori dalla sede del Coni di Roma. Intervistata da La Repubblica, la schiacciatrice originaria di Busto Arsizio ha confermato le parole della compagna Myriam Sylla, altra medagliata italiana, che aveva descritto la squadra di pallavolo femminile come “il riflesso preciso dell’Italia di oggi”. “Mi sento vicina a quel che ha detto Myriam – ha detto Bosetti -, e mi dispiace dover stare sempre a giustificare qualcosa quando dovremmo soltanto gioire per quel che abbiamo portato all’Italia, di quel che siamo come donne e atlete: facendo questo diventeremmo un paese migliore“. Dichiarazioni che si inseriscono indirettamente nel dibattito politico in atto sulla necessità di riformare la legge sulla cittadinanza in Italia.
“La nostra medaglia d’oro resterà per sempre, noi siamo quelle che hanno vinto a Parigi”, ha commentato Bosetti, ricostruendo i momenti chiave di questo storico traguardo. Dopo l’esclusione dalla squadra degli Europei, il cambio di allenatore e l’arrivo di Julio Velasco ha riportato la schiacciatrice al centro del progetto. Ma la delusione della non convocazione è stata compensata dalle emozioni di poter vivere un’estate diversa dalle altre: “Faccio ritiri estivi da quando ero piccolissima. Mi sentivo di assaporare un’altra vita, al mare con la mia famiglia”. Poi il trionfo olimpico: “Non voglio fare la vittima, so cosa vuol dire un lavoro normale. Però dietro la bellezza della nostra Olimpiade c’è stato sacrificio, ansia, tensione che ti mangiava col risultato che sembravamo un esercito in guerra, tutte talmente affamate. In campo eravamo in sei, ma chiunque entrava dalla panchina si sentiva importante, sapeva cosa doveva dare alla squadra, conosceva al 100 % il suo ruolo, felice della felicità di tutte”.
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