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Il rovescio della medaglia verde

Roberto Giardina è un collega siciliano, che da oltre mezzo secolo vive in Germania. L’ho conosciuto anni fa, quando lavoravo per il Quotidiano Nazionale, di cui lui era corrispondente. Ricordo i suoi articoli da Berlino, sempre gustosi e soprattutto dedicati non a noiose questioni di politica interna ma a vicende pratiche, con risvolti nella vita di tutti i giorni. Da quando è andato in pensione, manda le sue cronache a Italia Oggi e quella ultima, della scorsa settimana, è davvero degna di nota. Giardina infatti racconta come, nonostante i verdi tedeschi abbiano imposto al governo di Olaf Scholz tappe forzate verso una politica green, con chiusure di centrali nucleari e forti incentivi per l’acquisto di auto elettriche, la transizione ecologica proceda a rilento.

In particolare, il collega segnala che sebbene il ministro dell’Economia e dell’energia, l’ambientalista Robert Habeck, abbia decretato lo stop alle caldaie a gas e la loro sostituzione nell’arco di dieci anni con pompe di calore, l’installazione dei nuovi sistemi, compatibili con un programma di riduzione delle emissioni di CO2, sia un flop. Il programma prevedeva che ne fossero messe 500 mila l’anno, per raggiungere entro il 2030 un minimo di sei milioni di pompe di calore. Peccato che, nonostante questi siano i piani del governo, i tedeschi non pensino affatto a sostituire i loro classici caloriferi con un condizionatore. Infatti, nel primo semestre di quest’anno ne sono stati messi in funzione appena 90 mila, la metà delle pompe di calore installate nel 2023.

Le ragioni per cui in Germania non si scaldano all’idea di dotarsi di pompe di calore sono essenzialmente pratiche: costano di più e richiedono più spazio di una tradizionale caldaia a gas. Spiega Giardina che il palazzo in cui risiede risale al 1893 e quando fu costruito non era previsto alcun tipo di riscaldamento canalizzato, perché a quei tempi si usavano le stufe di maiolica, sostituite con i termosifoni solo dopo la guerra. Per installare le pompe di calore, oggi bisognerebbe sventrare il palazzo e per sistemare un impianto che sia in grado di riscaldare l’intero edificio e i suoi 48 appartamenti bisognerebbe occupare l’intero cortile. E non si tratta solo di spazio, ma anche di soldi. Infatti, le pompe di calore sono un investimento di non poco conto. Così, mentre il governo arcobaleno di Scholz pianifica una transizione green anche nelle case dei tedeschi, i consumatori si dimostrano molto scettici. Come si dice, il diavolo si nasconde nei dettagli, nel senso che a tavolino sembra tutto molto semplice, ma poi tra il dire e il fare ci sono di mezzo problemi pratici, come i costi del passaggio da caldaie a gas a caldaie a condensazione.

Il discorso che Giardina ha descritto a proposito delle pompe di calore lo si può fare anche con l’auto. L’inchiesta che pubblichiamo in questo numero spiega quanto sia più complicato del previsto l’addio al motore termico. E non soltanto per le questioni pratiche (l’autonomia della batteria, i tempi di ricarica e soprattutto il numero ridotto delle stazioni per poter fare «il pieno» di energia), ma anche perché se si mettono fuori legge le vetture con i motori considerati più inquinanti, non è detto che i consumatori siano in grado di sostituire il veicolo a motore termico con uno a batteria. Chi ha una macchina vecchia non la tiene per motivi ideologici, ma semplicemente perché non ha i soldi per comprarne una nuova. È per questo che la scorsa settimana il ministro tedesco dei Trasporti, il liberale Volker Wissing, ha lanciato l’allarme: con i nuovi parametri europei, otto milioni di vetture diesel potrebbero presto essere messe fuori legge.

In pratica, milioni di automobilisti potrebbero essere appiedati dalle norme di Bruxelles. Una decisione che metterebbe ancor più in ginocchio una Germania già in difficoltà per la crisi dovuta alla fine delle forniture quasi gratis di gas russo. Ovviamente, come per le pompe di calore nessuno, neanche nell’efficiente Berlino, si è preoccupato delle conseguenze pratiche delle politiche green dell’Unione. Ma a poco tempo dall’entrata in vigore della direttiva, c’è il brusco risveglio. Gli europei, più che nel verde, nel senso di ambiente, rischiano di restare al verde, nel senso di portafogli.

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