Se il capo famiglia va in pensione: nelle transizioni aziendali non sottovalutate le emozioni
Il problema del ricambio generazionale è uno dei momenti più difficili da gestire nella vita di una piccola azienda a carattere familiare. Ne abbiamo parlato più volte su queste colonne: si tratta di un processo da pianificare con largo anticipo rispetto ai tempi dell’effettivo cambiamento e che, se gestito male, può portare anche alla rovina.
Ma se, in un ipotetico gioco della torre, dovessi per forza decidere chi buttare giù, in base alla mia esperienza professionale non avrei dubbi: mi concentrerei su chi sta per uscire dal ruolo di capo dell’azienda.
Quando un imprenditore decide, nel 95% dei casi per limiti di età, di lasciare la propria posizione di leader, è naturale che tutte le attenzioni si concentrino su chi prenderà il suo posto e su come affrontare il cambiamento che ne deriva. Tuttavia, è altrettanto fondamentale comprendere il ruolo cruciale del capo uscente in questo processo, molto spesso fondatore dell’impresa.
Una transizione di leadership senza intoppi non solo garantisce la stabilità dell’organizzazione, ma rappresenta anche un’opportunità per costruire un futuro solido e di successo per l’azienda.
Il processo di successione è spesso considerato come una serie di passaggi tecnici: pianificazione anticipata, valutazione dei candidati interni, selezione della persona giusta. Tutti elementi fondamentali, ma c’è un aspetto che viene spesso trascurato: le azioni e le emozioni del papà o del nonno che stanno abbandonando le leve del potere.
Per la maggior parte di loro, il ruolo che ricoprono (o hanno ricoperto) non è solo un lavoro; è una parte fondamentale della loro identità. Questo rende il distacco da quella posizione un momento carico di significato e di emozioni intense. La mia esperienza mi ha insegnato che quando un capo uscente ha una relazione stretta e positiva con il consiglio di amministrazione di fatto (cioè la famiglia) e partecipa attivamente e con programmazione alla scelta del suo successore, la transizione risulta molto più fluida. Tuttavia, se il leader uscente vive sentimenti di ambivalenza o rimpianto, peggio ancora di contrasto con la famiglia, la strada verso il cambiamento può diventare estremamente accidentata.
Nel corso del tempo, ho capito che ci sono cinque momenti critici, vere e proprie svolte psicologiche, che un leader uscente deve affrontare.
Il primo di questi è il momento in cui si decide di avviare la successione. Le ragioni che spingono un CEO a dimettersi possono variare: età, durata del mandato, esigenze organizzative o motivi personali. Ma ciò che ho trovato determinante è il fatto che, nella maggior parte dei casi, è sempre il capo uscente, pur dichiarando di “sentirsi bene”, a decidere di lasciare. Ciò significa che mai (o quasi mai) in famiglia si è affrontato il discorso del ricambio.
Il secondo punto, forse uno dei più difficili da accettare e conseguenza del primo punto, è la rinuncia al controllo. Dopo anni passati a guidare un’azienda, trovarsi esclusi dal processo di successione può essere destabilizzante. In alcuni casi, il consiglio di amministrazione di fatto (la famiglia), dopo decenni di dipendenza decisionale, potrebbe deliberare di gestire l’intero processo senza il coinvolgimento del CEO uscente. Questo può essere un duro colpo, ma ho imparato che mantenere una qualche forma di coinvolgimento (gestire il benvenuto dei neoassunti, affidare i discorsi istituzionali, ecc) è essenziale per garantire che la transizione sia effettivamente un successo.
Poi c’è la gestione delle emozioni, un aspetto che non può essere sottovalutato. Le reazioni della famiglia, del team dirigenziale e dello stesso capo uscente possono essere complesse e difficili da navigare. La fase che precede l’annuncio dell’avvicendamento è particolarmente stressante: si vive in una sorta di limbo, con la consapevolezza di un cambiamento imminente ma ancora non reso pubblico. È un periodo in cui la solitudine può farsi sentire in modo acuto, così come il senso di colpa per dover mantenere segrete le proprie intenzioni. Discuterne con persone fidate esterne, come un coach professionista, un altro leader uscente, il coniuge, oppure organizzare incontri di orientamento con la famiglia potrebbe essere utile.
Un altro elemento cruciale è la pianificazione del futuro. La verità è che, nonostante le capacità strategiche che ci si aspetta da un leader, molti non riescono a pianificare in modo adeguato cosa fare una volta lasciato l’incarico. Ho visto personalmente come l’assenza di un piano chiaro possa portare a sentimenti di vuoto e disorientamento. Tuttavia, quando un CEO riesce a prepararsi per il futuro, scoprendo nuovi interessi e progetti, la transizione può diventare un’opportunità per una nuova fase della vita, piena di soddisfazioni e significato.
Infine, c’è il distacco dal ruolo e dall’organizzazione. Per molti, il ruolo di capo è una parte così integrata della propria identità che separarsene è estremamente difficile. Tuttavia, ho imparato che è essenziale riuscire a farlo per poter abbracciare una nuova identità e vivere pienamente la fase successiva della propria vita. Ho visto come il modo in cui il distacco viene gestito possa fare la differenza tra una transizione serena e una piena di rimpianti. Devi prepararti a una certa delusione per la rapidità con cui vieni poi dimenticato.
Le emozioni e le azioni del CEO uscente sono, quindi, elementi centrali durante il processo di successione. È nell’interesse di tutta l’organizzazione assicurarsi che il CEO uscente faccia questa transizione in modo armonioso e senza intoppi. Le relazioni autentiche e profonde tra il CEO uscente e i membri del consiglio di amministrazione sono la chiave per rendere più gestibile ogni fase della successione. E la costruzione di queste relazioni deve iniziare molto prima che la transizione abbia inizio, perché solo così sarà possibile affrontare anche le conversazioni più difficili con fiducia e serenità.
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