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Nicoleta Rotaru uccisa con le figlie in casa. I dieci minuti di agonia del femminicidio di Padova

Papà e mamma litigano, per l’ennesima volta. A tredici anni, con la maturità che ormai è propria di un’adolescente, basta poco per capire che quelle accuse, quelle urla, quei rumori dureranno per molto ancora. Per un’altra ora almeno, forse per tutta la notte.

Chissà quante volte è già successo, chissà quante notte insonni per quei litigi. E così la figlia di Nicoleta Rotaru ed Erik Zorzi si alza – è la notte tra l’1 e il 2 agosto 2023, lo si legge negli atti dell’accusa – esce dalla propria cameretta, passa il bagno in cui poi la madre verrà trovata priva di vita, si affaccia alla camera da letto dei genitori.

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Chiede a mamma e papà di chiudere la porta, di risparmiarle quell’ennesima notte senza sonno. Ritorna a letto, accanto alla sorellina – che ha appena cinque anni in meno e sicuramente molto meno consapevolezza di quello che sta avvenendo –, e finalmente, con i rumori molesti ora ovattati dalla porta, riesce ad addormentarsi.

Gli auricolari

Si sveglia nel cuore della notte: sono le 5, mamma Nicoleta ha forse esalato l’ultimo respiro da pochissimi minuti, dopo un’agonia durata almeno dieci. Papà Erik continua a far rumore: lei non può saperlo, ma l’uomo sta architettando il finto suicidio della madre.

La sta trascinando in bagno, sta curando ogni dettaglio per far sembrare quella morte un gesto volontario. Non sa che il cellulare dell’ex moglie sta registrando tutto, che da lì a sette mesi vanificherà ogni suo perverso piano.

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Fa rumore: ha il fiato pesante, farnetica ancora, apre e chiude le ante dei mobiletti della camera. E ancora, smonta il pannello in legno della porta del bagno e traffica col chiavistello – deve apparire che Nicoleta si sia chiusa in bagno da dentro –, fa scorrere l’acqua da un rubinetto, accende un phon e lo fa andare per sette minuti, apre e chiude la porta scorrevole, tormenta la quiete notturna con il suono di alcune sportine.

La ragazzina sa che non serve a niente appellarsi ancora una volta al silenzio e decide di isolarsi da quel mondo caotico: mette gli auricolari alle orecchie, ascoltando chissà quale brano del momento. Forse un brano di Gaia o di Anna, di Ghali o Rose Villain, di Tananai e Annalisa: vanno questi artisti su Spotify.

Forse pensa a quello che la aspetta da lì a tre giorni: il 5 agosto partirà con mamma Nicoleta e la sorellina per Pistoia, per una vacanza estiva. Tra le note e il pensiero del viaggio, forse ne esce un sorriso. La ragazzina si addormenta, quietata dalla musica.

Alle 6.49 la sirena bitonale dell’ambulanza si spegne davanti all’abitazione di via Rocca Pendice, pochi minuti e i primi soccorritori urlano il nome di Nicoleta alla porta del bagno, senza ricevere risposta. L’infisso viene abbattuto, pur facilmente, il tonfo è forte: Nicoleta è rannicchiata senza vita con una cinghia in pelle al collo.

L’adolescente dorme ancora, viene svegliata dai carabinieri: ha ancora gli auricolari alle orecchie, forse scorre ancora la musica che l’ha coccolata nella notte più infernale della sua vita. Inferno che si manifesta nella peggiore scena che una figlia possa vedere: la madre che viene portata via, morta, senza una parola, senza respiro.

L’agonia

Erik Zorzi che ammazza la propria ex moglie con le figliolette in casa è l’ennesima tinta brutale di una vicenda già fin troppo nera. Nera, nerissima, anche nell’agonia a cui il 42enne costringe la convivente: per ammazzare la donna, per strapparle l’ultima resistenza di vita, l’uomo impiegherà più di dieci minuti.

È la sera in cui Erik accusa Nicoleta di essere uscita con il nuovo partner – un mp4 sistemato dal 42enne in auto registra anche l’intimità della coppia, vile tentativo di entrare in un rapporto che non era più il suo da almeno sette mesi – e si lascia andare alle più pesanti invettive, tra volgarità gratuite e vere e proprie minacce.

«Vai via, non darmi fastidio, vai via! », prova a difendersi lei alle 3 passate, stremata, tentando di rifugiarsi nel sonno. Lui vuole avere un rapporto sessuale, lei si nega.

L’ex marito non si placa, anzi: l’escalation tocca l’apice alle 4.24. Nicoleta forse già dorme, pancia in giù. Lui le piomba sopra, la immobilizza, le cinge la nuca con una delle sue cinture. Stringe forte, la soffoca. «Erik ti prego smettila», implora lei, sorpresa quanto impaurita.

Il pianto diventa strozzato, ansima. Il telefono cellulare sistemato dalla donna sul comodino registra, e registra le parole senza senso di lui: «Ti amavo, ti amavo, ti prego, liberaci. Nico, lasciati andare. Vattene, Nico, vattene, vattene».

Dopo cinque minuti Nicoleta sta ancora ansimando, sempre più flebilmente. Alle 4.32, sono passati otto minuti dal brutale assalto, la donna emette suoni cadenzati, come di deglutizione.

Nel giro di cento secondi, quei suoni diventano sempre meno cadenzati. Il letto cigola, Erik scende: è l’ora di mettere in atto il diabolico piano del suicidio simulato. Nicoleta, altro particolare agghiacciante che si legge nelle carte giudiziarie, all’inizio di quell’ultimo impietoso atto è ancora agonizzante.

La figlia, nella cameretta di là, mette gli auricolari e ascolta la musica. La luce si spegne, per entrambe.

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