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Continuano le riprese a Villa Panigai del film “On life - L’università dei bambini”

La convocazione è per le 13. Il termometro segna 32 gradi ma il calendario delle riprese è serrato. Caldo o non caldo, la luce è quella giusta, il ciak è pronto a essere battuto e se la boscaglia dove è allestito il set attenua lievemente l’afa, zampironi accesi fra monitor e attrezzatura varia, tentano, a fatica, di allontanare nugoli di zanzare.

A complicare la già faticosa tranche di riprese ci si mettono gli aerei, che, ripetutamente, solcano il cielo, probabilmente partiti (o diretti) dalla base di Aviano.

Più volte il regista sarà costretto a interrompere, e, fra i fastidiosi inconvenienti e la comprensibile aspirazione a girare la scena “come Dio comanda”, alla fine i ciak saranno una dozzina.

Meno male che verso le 15 si va in pausa e frutta e panini accolgono l’accaldata troupe nel fresco dell’antica cucina di villa Panigai-Ovio, situata nel borgo medioevale omonimo di Pravisdomini (Pordenone).

Una villa veneta spettacolare, immersa in un parco secolare, nella quale è in corso la quarta settimana di ripresa di “On life - L’università dei bambini”, film ambientato fra Veneto e Friuli Venezia Giulia (produttore principale Kineofilm, finanziato da Europa Creativa, Fvg Filmcommission, Fondo per l’audiovisivo, Veneto Filmcommission e altri), in uscita nel 2025, con un’anteprima in uno dei maggiori festival del cinema europei.

La storia ha un tema originale e dal valore sociale: mette in discussione il nostro sistema educativo. Nove bambini e ragazzi, emarginati per vari motivi, allontanati dalla società civile, ospiti di una casa famiglia creata nella villa dalla contessa Olimpia, salgono in cattedra.

Come? Maestri inarrivabili del linguaggio digitale – per molti di loro la sola via di relazione con l’altro e la società – che la scuola fatica a considerare strumento diverso di apprendimento, saranno loro a insegnare agli adulti.

Da una felice intuizione di Olimpia nasce così l’Università dei bambini, aperta a facoltosi corsisti, disposti a pagare cifre ingenti pur di ricevere un’educazione vibrante e giovane.

Una sperimentazione che permetterà di ristabilire il dialogo fra adulti e teen ager e – si spera – anche di risollevare i conti della villa, ormai decadente. La sceneggiatura, in equilibrio fra poesia e pedagogia, attinge al lavoro che il regista, il padovano Rodolfo Bisatti, fra l’altro collaboratore per oltre vent’anni di Ermanno Olmi, porta avanti con i laboratori Vam (video alfabetizzazione multisensoriale), ideati e sperimentati da Kineofilm, insieme a ragazzi e giovani “difficili” o emarginati.

Protagonista della pellicola – che vede fra gli interpreti Paolo Bonacelli, Orfeo Orlando, Yoon C.Yoice, Grazia Sambruna e Laura Pellicciari – è Benedetta Barzini, la prima top model italiana e icona degli anni ’60, musa e amica di Andy Warhol, Salvador Dalì, Richard Avedon.

Una donna che ben presto si è stancata dei cliché del mondo della moda e degli stereotipi in cui la professione e la vita la stavano ingabbiando, diventando negli anni ’70 scrittrice, poi docente universitaria e femminista militante. E che ha condotto una profonda riflessione critica sul “regno dell’immagine” e sulla “schiavitù dei corpi”.

Una vita straordinaria, la sua, che emerge in tutta la sua essenza nel film “La scomparsa di mia madre”, il film del 2020 voluto e diretto da uno dei suoi quattro figli, Beniamino Barrese.

Dall’alto dei suoi 81 anni, l’aurea nobile che circonda un corpo ormai fragilissimo, ci parla con una visione lucida della “finta libertà” delle donne di oggi (che continuano a essere «come tu mi vuoi e costrette, per affermarsi, a inseguire dinamiche maschili») e dei vantaggi della vecchiaia, condizione che non le fa alcuna paura.

«Si perde l’ovvia bellezza della giovinezza, l’energia, la combattività, si perde la velocità…ma la lentezza ha grandi vantaggi, fa vedere cose che andando veloci non si vedono. Si guadagna quell’intelligenza che consente di essere più obiettivi. E finalmente, tolto il velo dall’essere frequentata perché bella, cosa piuttosto offensiva, i rapporti sono più autentici».

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