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Il Papa critica la legge ultranazionalista ucraina che vieta la Chiesa russa e fa un passo difficile

Per parecchi giorni il Vaticano è stato silenzioso, poi domenica papa Francesco è uscito allo scoperto per lanciare l’allarme sulla messa al bando in Ucraina della Chiesa ortodossa la cui storia è parte del Patriarcato di Mosca: “Pensando alle norme di legge adottate di recente in Ucraina – ha detto il pontefice all’Angelus – mi sorge un timore per la libertà di chi prega, perché chi prega veramente prega sempre per tutti”. Se qualcuno commette un male contro il suo popolo – ha proseguito il Papa – sarà colpevole per questo, “ma non può avere commesso il male perché ha pregato”. Si lasci pregare chi vuole pregare in quella che considera la sua Chiesa, ha sottolineato Francesco, concludendo con un appello sofferto: “Per favore, non sia abolita direttamente o indirettamente nessuna Chiesa cristiana. le Chiese non si toccano!”.

Per il Vaticano è un passo difficile, perché Francesco non vuole mettersi contro il governo della “martoriata Ucraina”, ma la decisione presa il 20 agosto dal Parlamento ucraino è talmente fuori dai parametri europei di libertà religiosa che non era possibile tacere. Il 21 agosto l’Osservatore Romano aveva dato la notizia – senza titolare – in coda ad un generico articolo sugli eventi della guerra russo-ucraina: “Non può esserci una chiesa moscovita in Ucraina”, ha dichiarato il capo dell’amministrazione presidenziale ucraina, Andryi Yermak.

Il Vaticano non è solo nella sua denuncia. I vertici del Consiglio mondiale delle Chiese, che riunisce tutte le denominazioni cristiane, hanno pubblicamente espresso le loro riserve per una decisione, che si trasforma in una ingiustificata punizione collettiva di un’intera comunità religiosa e rappresenta una aperta violazione della libertà religiosa e di credo.

In Ucraina esistono già da anni due Chiese ortodosse: una autocefala, cioè canonicamente indipendente, e una che storicamente, da secoli, senza nessuna connotazione politica, fa parte del patriarcato di Mosca. Le comunità ortodosse, collegate al patriarcato di Mosca, avranno ora nove mesi di tempo per “recidere i legami”. In realtà, come nota il giornale dei vescovi italiani Avvenire, dal 2022 la Chiesa ortodossa ucraina antica ha dichiarato la sua autonomia da Mosca e nella liturgia non viene nemmeno più citato il nome del patriarca Kirill: un segno rilevante nella simbologia delle cerimonie cristiane.

In altre parole la nuova legge è il prodotto di quell’ultranazionalismo ucraino, che soffia sul fuoco dell’odio etnico e tende a non fermarsi di fronte a nulla. Non si può dimenticare la rabbia degli ultranazionalisti ucraini nel 2022 quando il premio Nobel per la pace venne assegnato all’ucraino “Center for civil liberties” e contemporaneamente alla storica associazione democratica russa “Memorial” e all’organizzazione dissidente bielorussia “Viasna”. Non si può dimenticare la fanatica campagna contro la rappresentazione alla Scala del Boris Godunov nel dicembre del 2022, Al punto che – pur condannando duramente l’aggressione russa all’Ucraina – il presidente della Repubblica Mattarella dovette intervenire per dire che la “cultura russa non si cancella, è europea” e la premier Meloni sottolineò: “Noi non ce l’abbiamo con il popolo russo, con la storia russa, con la cultura russa”-

Né si può dimenticare il tentativo ucraino di cacciare dal Consiglio mondiale delle Chiese il patriarcato di Mosca (come se la storia non fosse piena di Chiese allineatesi al militarismo dei propri stati), tentativo che venne respinto dall’organizzazione.

La storia davvero non è maestra di vita, come pretenderebbe il vecchio adagio. Fa tristezza pensare che la Chiesa greco-cattolica ucraina, soffocata e perseguitata per volontà di Stalin e il cui rappresentante mons. Sterniuk viveva ancora a fine anni Ottanta in una misera stanzetta a Leopoli in stato di semiclandestinità tollerata, oggi accetti senza battere ciglio una legge oppressiva contro un’altra comunità religiosa.

Esiste un cardine del pensiero giuridico moderno, come hanno ricordato papa Francesco e il Consiglio mondiale delle Chiese: la responsabilità penale è individuale. Un prete o un monaco fanno spionaggio o sabotaggio? Si processino. Ma l’idea di una comunità religiosa “filiale del nemico” a prescindere è quanto di peggio sovietismo e odio etnico possano lasciare in retaggio.

Quanto avviene a Kyiv non è tuttavia un affare che riguardi solo la religione. Tutt’altro. Riguarda l’idea di Europa e i valori fondanti dell’Unione europea. E riguarda anche Ursula Von der Leyen, attualmente impegnata nei negoziati per l’adesione di Kyiv. Abbiamo visto Von der Leyen vestirsi con i colori ucraini per sottolineare la sua giusta solidarietà ad un paese aggredito. Sarebbe giusto che ora indossasse il blu e oro della bandiera dell’Unione per ricordare all’Ucraina che non si entra nell’Europa se per legge si vieta la circolazione di ogni bene culturale russo (decreto di Zelensky sulla proibizione di teatro, cinema, balletto, opera, musica, libri russi) e lo scioglimento di ogni comunità religiosa “affiliata ad un centro estero”.

E’ dai tempi di Tommaso Becket e Tommaso Moro che l’Europa ha come cardine la laicità dello Stato e la libertà di credo e di pensiero. Sarebbe bene che Ursula Von der Leyen non fingesse di non saperlo.

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