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Gli aspri bombardamenti in Transalpina: l’esperienza vissuta dal goriziano Marzio Lamberti

GORIZIA. Bombe alla Transalpina. A 48 ore dall’ultima evacuazione determinata dalla necessità di rendere inoffensivo un ordigno di produzione inglese da 500 libbre, emerge la testimonianza (molto interessante) di Marzio Lamberti, figura molto nota in città e direttore di “GoriziaEuropa”, il periodico del Pd.

Scava nello scrigno dei ricordi. Frammenti preziosi per comprendere i motivi per cui è tutt’altro che improbabile “inciampare” nei residuati bellici nella zona Nord della città. «A quell’epoca - racconta - abitavo, con la famiglia materna (mio padre era militare e, poi, prigioniero in Germania), nelle case di color arancione appena pochi metri oltre la linea ferroviaria sulla sinistra, oggi Erjavčeva ulica, costruite negli anni Venti e destinate ai ferrovieri provenienti da tutta Italia in sostituzione dei colleghi austriaci ritornati in patria dopo la guerra. Occorreva ricostituire il polo ferroviario della Transalpina. Mio nonno era ferroviere e vi si trasferì con tutta la famiglia nel 1926 appena costruite. Quelle abitazioni erano le ultime di Gorizia e, oggi, sono le prime di Nova Gorica».

[[(gele.Finegil.Image2014v1) Enrico Vanzina]]

Lamberti entra nel cuore del suo racconto. «Durante la guerra, davanti a casa, dopo l’occupazione tedesca del 1943, c’erano i cartelli con l’avviso Achtung bandengebiet a indicare che, appena oltre quelle case verso Moncorona, il Panovec e Salcano, la zona era presidiata dai partigiani. Erano proprio gli ultimi edifici della città, oltre i quali per i goriziani c’era il... buio. Le case furono più volte danneggiate anche se lievemente, tranne l’ultima volta nel marzo 1945 quando furono pesantemente colpite a seguito di un intenso bombardamento alleato. La mia famiglia fu trasferita in un appartamento vuoto in corso Verdi per gli sfollati. Vi tornò a ottobre 1945».

Momenti dolorosi. «Durante i frequenti allarmi e i più rari bombardamenti - rammenta - gli abitanti di quelle case si rifugiavano in cantina oppure attraversavano i campi di corsa nel bosco del Panovec dove erano stati scavati rifugi provvisori di tronchi. I bombardamenti erano, senza alcun dubbio, mirati a distruggere il vicino ponte ferroviario di Salcano. Ma anche il nodo ferroviario di Montesanto, dove sono state trovate le ultime bombe, era un bersaglio importante, tra l’altro dotato di una grande officina a pianta rotonda per locomotori ancor oggi visibile nel centro commerciale Supernova».

È altrettanto indiscutibile che l’obiettivo dei bombardieri alleati era, anche, «il treno-comando tedesco che si spostava lungo l’intera tratta ferroviaria fino a Aidussina. Sul convoglio c’erano reparti tedeschi, cannoni antiaerei ma, soprattutto, il comando dei reparti della zona. Il treno si nascondeva nella galleria sotto la Castagnavizza. Gli alleati, essendone venuti a conoscenza, hanno più volte cercato di colpirlo con i bombardamenti lungo la linea ferroviaria e sulla stazione. Nodo ferroviario, officina per locomotori, treno blindato, ponte di Salcano: ce n’era abbastanza - conclude Lamberti - per fare di quella zona un bersaglio importante per gli aerei alleati. Per questo, i ritrovamenti di ordigni inesplosi nella zona continuano, ancor oggi, con una certa frequenza».

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