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Squilli di tromba, il boato e la polvere: la ciminiera dell’ex inceneritore di Trieste non c’è più

TRIESTE. Sono le 17.58 spaccate di mercoledì 28 agosto quando il sindaco Roberto Dipiazza aziona la leva che innesca le 240 micro cariche di dinamite che demoliscono la vecchia ciminiera di Monte San Pantaleone.

Tre squilli di tromba, l’ultimo più lungo, poi il boato. Il colpo arriva secco e invade via di Giarizzole. In pochi secondi precipitano al suolo tutti i quarantanove metri di altezza di quel camino bianco e rosso e ormai pericolante, una torre pronta a crollare sotto il peso dell’abbandono non ci avesse pensato prima l’esplosivo fatto detonare mercoledì. Quando polveri e detriti si depositano al suolo, la ciminiera dell’ex inceneritore non c’è più. «Abbatteremo anche tutto il resto», dice il sindaco. «Pensiamo al futuro».

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Edificare quella ciminiera inaugurata nel 1972 aveva richiesto mesi di lavori e milioni di lire, ma per farla collassare sono bastati meno di sette chili di dinamite. In piccole cariche, collocate attorno al manufatto tramite forellini praticati dagli operai dell’impresa Moretto, incaricati dalla friulana Valerio Sabinot Srl per il brillamento appaltato dal Comune con 138 mila euro più Iva.

Il rumore preannunciato fa tremare appena edifici e cartelli stradali che segnalavano dell’operazione in programma nel pomeriggio, chiudendo al traffico le uscite della Grande viabilità e allontanando dall’area dell’impianto chiunque non fosse autorizzato, con divieto assoluto di transito nella vicina via Carlo Schmdl e nella stessa via di Giarizzole per tutta la durata della demolizione.

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Il dispiegamento di forze è importante, secondo un piano studiato nei minimi dettagli e volubile solo al soffiare del vento, che alla fine non c’è stato. Presenti sul posto ci sono unità della Polizia locale e stradale, Vigili del Fuoco e personale della Questura, impegnate a monitorare tutti i movimenti attorno al comprensorio dismesso e alle uscite della superstrada, da cui per oltre mezzo secolo quell’imponente camino è stato biglietto da visita della città.

Ma niente più di quella ciminiera ricordava ormai della sua moderna attività, mangiata dalla trascuratezza con cavillature diffuse su tutto il ballatoio e il calcestruzzo rigonfio in più punti. Il cammino era da tempo ammalorato, con evidenti distacchi nel copriferro, buchi nella struttura portante e strappi in più punti dell’anello di cemento armato, esponendo alle intemperie il costato della canna refrattaria. «Intanto buttiamo giù questo», dice Dipiazza. «Poi abbatteremo tutto il resto».

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Il sito individuato per dare avvio alla demolizione è il retro dell’impianto, lotto del comprensorio di Monte San Pantaleone abbandonato da vent’anni in favore del più moderno termovalorizzatore di Hestambiente in via Errera. Varcati i cancelli si entra in un corpo industriale abbandonato, invaso da pallet impilati e materiali edili avanzati dai cantieri pubblici. Il rinfresco post-esplosione sarà con mini rustici salati e bollicine, servito accanto a un decadente container in laminato.

Mezz’ora prima dell’inizio della demolizione l’addetto alla sicurezza Davide Novel, l’ingegnere comunale Roberto Rovatti, l’assessore al Patrimonio immobiliare Elisa Lodi e i responsabili dell’impresa accompagnano di lato dell’inceneritore, a una distanza di sicurezza delimitata da vecchi masegni recuperati da scavi cittadini. In prima fila c’è Dipiazza, in testa il caschetto giallo della ditta e tra le mani il dispositivo esploditore, da caricare manualmente.

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Tre squilli di tromba, l’ultimo più lungo. Alle 17.58 spaccate il sindaco aziona la leva e la demolizione ha inizio. Il boato e poi il tonfo, il camino cade come un blocco unico precipitando lungo un letto di caduta di materiale inerte, realizzato appositamente per l’operazione di modo da attutire i riverberi delle vibrazioni sui condomini di via di Giarizzole. Di quella torre resta solo la bocca in cui confluivano i fuochi dei forni, da demolire nei prossimi giorni per mezzo di uno scavatore prima di trasportare tutte le macerie in discarica.

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Quando polvere e detriti sollevati dalla detonazione delle 240 micro cariche di dinamite si posano infine al suolo, lo skyline della periferia è definitivamente cambiato. In cielo niente più ricorda dell’attività dell’impianto da cui per più di vent’anni sono usciti i fumi di combustione dei rifiuti prodotti dalla città. La ciminiera dell’ex inceneritore di via di Giarizzole non c’è più

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