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Le vittime collaterali di Stellantis: il collasso manda in crisi decine di aziende dell’indotto da Torino a Melfi. La Fiom: “Il peggio deve venire”

Il collasso della produzione di Stellantis sta desertificando l’indotto italiano. Migliaia di dipendenti di decine di aziende che ruotano attorno all’ormai ex Fiat vivono di ammortizzatori sociali dalla cerchia di Torino fino a Melfi passando per Cassino, Atessa e Pomigliano d’Arco. Gli ultimi precipitati nell’incubo dell’instabilità sono i lavoratori della Sangritana, la società di trasporto merci su ferro controllata dalla pubblica Tua che si occupa di caricare i Ducato sfornati nello stabilimento vicino a Chieti: il calo dei volumi dei veicoli commerciali ha fatto scattare la cassa integrazione per 92 persone. “Siamo ancora in una fase discendente, il peggio deve ancora venire”, avvisa Samuele Lodi, responsabile automotive della Fiom-Cgil.

“La filiera va verso l’estero”
“Il 2025 sarà un anno ancora più nero per la componentistica – sottolinea – Diversi segnali ci dicono che Stellantis sta guardando sempre di più a una filiera diversa, che va verso i Paesi dell’Est e in Nord Africa. Mentre gli stabilimenti italiani si svuotano e con loro si impoverisce l’indotto”. Aziende e gruppi che hanno un rapporto stretto e quasi esclusivo con Stellantis difficilmente vedranno la luce alla fine del tunnel, divenendone vittime collaterali: “C’è grossa preoccupazione e il tavolo automotive voluto dal ministro Adolfo Urso – spiega Lodi – non ha prodotto nulla. A quasi un anno dalla prima convocazione siamo alle dichiarazioni di principio. Il governo dice che il gruppo deve essere garante dell’indotto, il gruppo guidato da Carlos Tavares dichiara che sicuramente avrà questa responsabilità sociale. Siamo d’accordo anche noi, ma di concreto non c’è nulla”. Basta fare un viaggio attorno agli impianti di “mamma” Stellantis per comprendere la sofferenza delle industrie che producono pezzi e delle società che forniscono servizi all’ex Fiat, in attesa di vedere concretizzarsi le promesse sui nuovi modelli dal 2026 in poi.

Il vortice attorno a Mirafiori
La grande depressione di Mirafiori – che ha riaperto i battenti lunedì con 3mila dipendenti in solidarietà dopo i disastrosi dati degli ordini nel primo semestre – sta trascinando in un vortice l’indotto che un tempo fioriva nella cerchia di Torino. Oltre alla situazione critica della Lear di Grugliasco, con 300 dipendenti a rischio dopo il tracollo della produzione di sedili, i numeri esigui della 500bev hanno fatto scattare la cassa integrazione alla Denso di Poirino, che ne produce i sistemi di condizionamento. I problemi per i 1.400 lavoratori della multinazionale giapponese potrebbero non essere finiti perché anche i volumi di commesse da Iveco e New Holland non stanno rispettando le attese e il timore dei sindacati è l’annuncio di esuberi nelle prossime settimane. Non se la passano meglio alla Novares di Riva di Chieri dove si sfornano particolari in plastica per la 500 e la Panda: i 150 operai sono in cassa integrazione e non lavorano più su tre turni. “Non è finita qui. Abbiamo notato un rallentamento nella produzione di Magna Olsa, gruppo tedesco con uno stabilimento a Moncalieri dedicato alla produzione di gruppi faro e sistemi di illuminazione”, dice Gianni Mannori, responsabile Fiom a Mirafiori. E a settembre la situazione attorno alla storica fabbrica torinese potrebbe peggiorare: “Ci aspettiamo – aggiunge – richieste di ammortizzatori sociali in diverse realtà piccole, il cosiddetto indotto dell’indotto”.

Pomigliano, dove si vendono pezzi di fabbrica
I venti di crisi si sentono anche a Pomigliano d’Arco, nonostante sia stata la fabbrica di auto in cui si è concentrata la metà della produzione in Italia nel primo semestre grazie ai numeri della Panda. I cinque giorni di cassa previsti a settembre sono il sintomo di un’inversione di rotta. Tutta colpa degli ordini della Alfa Romeo Tonale: “Basti pensare che nel 2021, quando venne lanciata, le previsioni erano di 500 auto al giorno. Ora siamo a 150. Quei numeri avevano fatto organizzare le aziende dell’indotto, poi è arrivata la bocciatura del mercato”, chiarisce Mario Di Costanzo, responsabile automotive della Fiom Napoli. Si spiega anche così la decisione di Tiberina, azienda da 160 dipendenti che produce lamierati, di non rinnovare 60 contratti a tempo determinato che erano stati prorogati in deroga. Una riduzione dell’orario di lavoro è stata avanzata dalla Marelli di Caivano a causa della contrazione degli ordini dei terminali di scarico. “Ci sono poi i problemi che attanagliano le società di servizi, dalle pulizie interne passate da 200 a 100 dipendenti – aggiunge Di Costanzo – alla vigilanza che conviverà fino a febbraio con gli ammortizzatori sociali, poi non più rinnovabili”. Nere le prospettive per il futuro, non solo per la decisione di produrre la Panda elettrica nello stabilimento serbo di Kragujevac, con la ‘benedizione’ di Giorgia Meloni, o per l’Alfa Junior che avrà il suo hub in Polonia e si inserisce nello stesso segmento di Tonale: “Stellantis sta vendendo pezzi di stabilimento a società terze. Abbiamo chiesto informazioni, ma non ci hanno risposto nonostante siano già in corso lavori per trasformare i capannoni”, svela Di Costanzo.

La crisi dei 3.000 di Melfi
Tra le situazioni più critiche c’è quella dell’indotto lucano, dove tra componentistica e logistica si contano oltre 3mila dipendenti. Il contratto di solidarietà in essere nello stabilimento di Melfi, passato in pochi anni da 7.200 dipendenti a 5.400 con gli incentivi all’esodo, l’eliminazione del turno notturno e il prossimo cambio della piattaforma per accogliere i nuovi modelli elettrici ha mandato in crisi la quindicina di aziende che ruotano attorno all’ex Fiat, dove i volumi sono crollati del 57,6% passando dalle 110.820 del primo semestre 2023 ad appena 47.020 automobili tra gennaio e giugno di quest’anno. “Tutte stanno applicando cassa o solidarietà – sottolinea la segretaria della Fiom Basilicata, Giorgia Calamita – E l’eliminazione dei turni notturni porta a un’ulteriore contrazione dei salari che arriva fino a 4-500 euro al mese”. I sindacati hanno già chiesto alla Regione Basilicata di attivare l’area di crisi complessa, ma finora non se n’è fatto nulla. Lunedì si riapriranno i cancelli, ma uno stop momentaneo alla produzione della 500X di cui si parla insistentemente potrebbe addirittura portare a un turno unico di lavoro con un’ulteriore ripercussione sull’indotto. Chi sta soffrendo maggiormente sono i circa 700 addetti della logistica a causa della contrazione delle commesse dovuta all’internalizzazione dei servizi da parte di Stellantis: cassa integrazione a zero ore e senza neanche il 20 per cento delle spettanze a carico delle aziende.

La lunga agonia di Cassino
“A Cassino l’agonia dell’indotto ha una lunga storia. Un anno e mezzo fa sono sparite diverse piccole aziende tra appalto e subappalto. Altre usano da tempo gli ammortizzatori sociali, ora in esaurimento”, racconta il segretario generale della Fiom Frosinone, Donato Gatti. Del resto, in una manciata di anni, l’impianto laziale ha visto ridursi del 90% le vetture prodotte e del 40 per cento i dipendenti. Lo stabilimento, nel 2017, occupava 4.500 persone e nei primi sei mesi assemblò 153.263 automobili, mentre da gennaio a giugno gli attuali 2.700 operai ne hanno sfornate 15.900 tra Maserati Grecale, Alfa Giulia e Alfa Stelvio lavorando su turno unico. Tra il 2023 e il 2024, il calo è stato del 38,7%, inevitabili nuovi rigurgiti di crisi nell’indotto. Ora a soffrire sono, anche qui, Tiberina che – spiegano dalla Fiom – ha chiesto per la prima volta il contratto di solidarietà per i suoi dipendenti, oltre alla Lear e alla MA, divisione di Cln Group, con i suoi 60 dipendenti intimoriti dal calo delle commesse per le future produzioni. “Difficile che la situazione cambi nei prossimi mesi – sottolinea Gatti – Cassino infatti chiuderà con un centinaio di giorni lavorativi nel 2024 e non sappiamo ancora cosa accadrà il prossimo anno”.

Atessa e il timore polacco
Perfino ad Atessa, dove la produzione di veicoli commerciali era aumentata del 2% nel primo semestre con 117mila furgoni assemblati, la situazione si è deteriorata in fretta. Mentre Stellantis aumenta i volumi in Polonia, lo stabilimento abruzzese è sceso a poco più di 600 Ducato al giorno. “La metà della produzione di un anno e mezzo fa”, fa notare Alfredo Fegatelli, segretario della Fiom-Cgil Chieti. Alla prima cassa integrazione di giugno si sono aggiunti altri 7 giorni a settembre ed è stato sospeso il turno notturno. Immediato l’impatto sull’indotto con la Magneti Marelli di Sulmona che, a sua volta, ha azzerato i notturni e la Sodecia automotive di Raiano, in provincia dell’Aquila, dove è scattata la cassa integrazione fino al 5 ottobre. “Ma tutte le aziende iniziano ad avere problemi importanti”, sottolinea Fegatelli. La Isringhausen di San Salvo, produttrice di sedili che conta 300 dipendenti, ha mandato a casa i lavoratori in somministrazione e ha richiesto la cassa integrazione. Il riverbero si è sentito perfino sulla Sangritana, impresa ferroviaria pubblica controllata al 100% da Tua – a sua volta in mano alla Regione Abruzzo – che si occupa del trasporto dei veicoli usciti dalla plant di Atessa: meno Ducato da esportare e ricorso alla cassa per 92 lavoratori. “Quella di Atessa non è una crisi di mercato. Ora colgono alcune oscillazioni del sistema per accelerare sulla strategia aziendale – accusa Fegatelli – Tutto ciò porta anche l’indotto a riorganizzarsi. Isringhausen ha aperto un reparto in Polonia per assemblare i sedili, ma se Stellantis dovesse traslocare lì il grosso dei volumi, è alto il rischio che la situazione si capovolga: assembleranno qui ciò che verrà prodotto lì”. La grande fuga è alle porte.

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L'articolo Le vittime collaterali di Stellantis: il collasso manda in crisi decine di aziende dell’indotto da Torino a Melfi. La Fiom: “Il peggio deve venire” proviene da Il Fatto Quotidiano.

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