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Una diga sul Vanoi per risolvere la crisi idrica. Ma che diritto abbiamo di sacrificare una valle?

Poco più a monte di dove abitiamo, nelle terre a confine tra Trentino e Veneto, si sta dibattendo animatamente sul progetto che prevede la costruzione di una diga nell’ultima valle dove un torrente scorre libero. Scarse notizie sono arrivate in pianura, eppure la vicenda riguarda tutto il Veneto, tutto il Trentino e tutta l’Italia. Il progetto della diga sul Vanoi risale agli anni Venti del secolo scorso e a più riprese è stato valutato e scartato a causa dei reali pericoli idrogeologici. Dopo un centinaio di anni, tenendo conto degli studi degli anni 60 e degli anni 80, un nuovo progetto, un po’ più a monte dei precedenti, si è fatto avanti per ingabbiare anche queste acque che scorrono selvagge e per ora libere.

Lo Studio di fattibilità delle alternative progettuali (DOCFAP) redatto da un raggruppamento temporaneo di imprese il cui capogruppo è Lombardi Ingegneria S.r.l., su affidamento del Consorzio di Bonifica Brenta, è stato inviato con una lettera datata 2 luglio 2024 – all’interno della fase di consultazione preliminare (ex art. 5 del DPCM n. 76/2018) – solo ad alcuni Enti, avvisando dell’intenzione di avviare il dibattito pubblico, previsto dalla Legge, obbligatorio poiché la diga supererebbe i 30 m di altezza. In seconda battuta altri Enti e alcune associazioni, fra cui le nostre, sono state aggiunte e invitate a esprimere interesse a partecipare e a proporre eventuali osservazioni al riguardo: è stato quindi possibile venire a conoscenza dei documenti relativi al progetto.

Notizie più specifiche e la possibilità di essere convocati per il dibattito pubblico si sono palesate a seguito di una diffusa mobilitazione popolare del trentino e del bellunese, animata da un susseguirsi di pronunciamenti avversi da parte di enti pubblici di quella zona. Di particolare rilievo fra questi una diffida firmata il 12 luglio 2024 dal Presidente della Provincia autonoma di Trento Maurizio Fugatti al Consorzio di Bonifica Brenta a non dare seguito al progetto. Del resto, come sottolineato da molti, questa opera non appare in alcun documento di programmazione urbanistica comunale, provinciale o regionale.

Alcuni dei nostri Comuni, invece, si erano già precedentemente pronunciati a favore della realizzazione di questo invaso e nessuna mobilitazione finora è avvenuta in pianura, dove molti cittadini – probabilmente – non sono consapevoli dei rischi che questo progetto potrebbe comportare: per esempio il possibile allagamento dei territori a valle dell’invaso in caso di ipotetico collasso della diga, aggravato anche dalla conseguente probabile tracimazione della diga del Corlo di Arsiè, evento che potrebbe quindi interessare una estesa parte del territorio di Bassano e poi numerose altre zone lungo l’asta fluviale fino a Piazzola sul Brenta (come da documento obbligatorio di simulazione di DAM BREAK prodotto dagli stessi progettisti). La localizzazione dell’invaso viene prevista nella Val Cortella lungo il corso del torrente Vanoi, poco prima della sua confluenza col Cismon, in un luogo i cui problemi idrogeologici sono stati già segnalati nei precedenti studi e confermati dalla Carta di Sintesi della Pericolosità della Provincia di Trento, nella quale è segnata a livello P4, ovvero il grado più elevato.

La diga è fortemente voluta da chi sostiene sia indispensabile per la pianura al fine di risolvere i problemi causati dal cambiamento climatico, rendendo più efficaci le infrastrutture irrigue, la bonifica idraulica, la difesa dalle esondazioni e costituendo un nuovo bacino di accumulo. I problemi della pianura, tuttavia, non sono dovuti esclusivamente al cambiamento climatico ma ad un modello di urbanizzazione e un sistema di agricoltura che sono stati riconosciuti da molti come non più sostenibili. La realizzazione dell’invaso, per alcuni opera imprescindibile per tentare di risolvere la crisi idrica della pianura e per questo molto attesa, potrebbe portare con sé una serie di notevoli ripercussioni di carattere ambientale che influirebbe non solo a monte ma su tutto l’ecosistema fluviale, alterando le dinamiche di deposito dei sedimenti, la portata del fiume e gli habitat delle comunità vegetali e animali, determinando nella valle del Vanoi lo stravolgimento della vita, del benessere e delle attività di tutti i suoi abitanti. La localizzazione in quell’area di una massa d’acqua di almeno 20 milioni di m3 (previsti nella meno impattante e più accreditata delle 4 ipotesi analizzate nello studio, l’ipotesi C) influirebbe sul clima degli abitati a monte e i cantieri decennali altererebbero la viabilità e implicherebbero sbancamenti di notevoli dimensioni e la probabile messa in circolazione di una grande quantità di polveri.

Si sottolinea che la valle del Vanoi è tutelata in quanto sito Natura 2000 e che esiste specifica normativa appena approvata dal Consiglio Europeo che impone fra l’altro il rispetto della naturalità dei corsi d’acqua e del loro fluire libero per almeno 25.000 Km entro il 2030, ristabilendo quindi connessioni e abbattendo sbarramenti esistenti. Una direttiva volta nel suo complesso a mitigare gli effetti della crisi climatica e a contrastare la drammatica perdita di biodiversità in atto. Che diritti abbiamo allora di sacrificare l’ennesima valle in nome dell’emergenza climatica, senza valutare l’attuazione di interventi veramente sostenibili e notevolmente più economici di questa impresa titanica che a colpi di cemento cancellerebbe un territorio intero?

Il progetto in realtà non presenta alternative alla costruzione di invasi di diverse dimensioni e capienza. Ma molti sottolineano altre possibilità per risparmiare, tesaurizzare l’acqua. Gli esempi di forme alternative di ricarica della falda acquifera sono già stati sperimentati e hanno dato ottimi risultati: si pensi alle Aree Forestali di Infiltrazione (le cosiddette AFI) o all’allargamento dell’alveo dei fiumi. Politiche di risparmio dell’acqua dovrebbero essere adottate con sistematicità, sia nell’industria che nel settore domestico, mentre è improrogabile l’implementazione di pratiche agricole meno idroesigenti. Piccoli bacini di accumulo delle acque piovane potrebbero essere ospitati da ex cave o realizzati vicino ai luoghi di utilizzazione accogliendo acque di riciclo come già sperimentato. Infine, lo sghiaiamento dei 5 bacini già presenti lungo la valle del Cismon e dei suoi affluenti permetterebbe di recuperare la capacità degli invasi attivi e disponibili.

Non siamo i comitati e le associazioni del “no” come alcuni politici, in maniera superficiale, ci hanno etichettati. Non è questione di dire “no” a tutto, ma di dire “basta” allo sperpero di territorio, al restringimento degli habitat naturali, alla distruzione di quella che è la casa nostra e degli altri esseri viventi! È tempo di cambiare paradigma: in altri paesi si riconosce personalità giuridica ai fiumi e ai laghi, mentre in Italia si continua ad agire secondo una logica di estrattivismo e di predazione delle risorse. È necessario rovesciare il modo di pensare, scostandosi dal concetto di “utilità immediata” e adottando un pensiero lungimirante e rispettoso. C’è bisogno di essere accompagnati in questo cambiamento da contributi esperti, sia sulle dinamiche ambientali sia sulle esperienze di nuovo governo della risorsa idrica e sulla innovazione delle pratiche agricole. Proporremo a metà settembre un evento pubblico al quale inviteremo alcuni studiosi con cui siamo in contatto per trovare soluzioni basate sulla natura piuttosto che su interventi ingegneristici così impattanti.

Italia Nostra Bassano del Grappa
Acqua Bene Comune Vicenza
Associazione per il Rispetto Ambientale A.RI.A. bassanese
Centro di Iniziativa Politico Culturale Romano Carotti Bassano del Grappa
Consulta per l’Ambiente

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