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L'autunno dello scontento sindacale

Le grandi vertenze su Stellantis ed ex Ilva. Poi, i rinnovi di contratto in molti settori nevralgici, dai trasporti alla grande distribuzione, tra richieste di aumenti salariali, rilanci necessari e ristrutturazioni dolorose. La stagione che si va ad aprire è già disseminata di confronti - e probabili conflitti - tra parti sociali ed esecutivo. Con scioperi che vanno messi in conto.

C’è il dossier Stellantis, con la produzione di auto a picco. C’è il caso ex-Ilva, in attesa di un «cavaliere bianco» che salvi il più importante impianto siderurgico italiano. Ci sono le incognite sul futuro degli elettrodomestici e dell’hi-tech. Un quadro preoccupante con tante aree di crisi che punteggiano il tessuto industriale nazionale: sarebbero più di 60 mila i posti di lavoro a rischio secondo la Cgil. E i sindacati guidati dal trio Pierpaolo Bombardieri (Uil), Maurizio Landini (Cgil) e Luigi Sbarra (Cisl) si preparano ad alzare la temperatura del confronto con le aziende e con il governo. Sarà un autunno caldo? Le premesse non sono rassicuranti.

Sul campo dei metalmeccanici, una delle categorie più importanti, il confronto si annuncia complesso. Spiega Ferdinando Uliano, segretario generale della Fim-Cisl: «Per la nostra categoria sono due i fronti aperti più rilevanti: da un lato le situazioni di alcuni settori-chiave come quello della siderurgia e dell’auto, dall’altro il rinnovo del contratto di lavoro la cui trattativa entrerà nel vivo nel mese di ottobre. È un rinnovo particolarmente complicato perché avevamo chiuso lo scorso contratto con un aumento mensile lordo di circa 310 euro, un buon recupero salariale rispetto ad altre categorie che hanno sofferto molto di più. Per i prossimi tre anni chiediamo un ulteriore aumento di 280 euro e avanziamo altre rivendicazioni come la progressiva riduzione dell’orario di lavoro e l’allargamento della contrattazione aziendale di secondo livello, che per ora non c’è nel 70 per cento delle aziende metalmeccaniche». Posizioni che hanno determinato una rigidità delle controparti fin dall’inizio delle trattative. «Ci aspettiamo che nelle prossime settimane Federmeccanica si presenti al tavolo con le risposte alla nostra piattaforma. Penso che sarà un confronto duro, il clima è molto teso».

«Federmeccanica e Assistal (l’associazione che riunisce i costruttori di impianti di efficienza energetica, ndr) hanno detto di no alle proposte contenute nella piattaforma che darebbero stabilità e sicurezza alla vita dei lavoratori e quindi qualità alle imprese» ha sottolineato in un comunicato Michele De Palma, segretario generale Fiom-Cgil. «È fondamentale che il contratto a tempo indeterminato e l’apprendistato diventino le principali forme di occupazione. Le proroghe oltre i 12 mesi devono essere consentite solo in casi specifici». Per il leader della Fiom «questa prima tornata di incontri si chiude con una valutazione negativa sulla sostanziale chiusura alle proposte avanzate». Le trattative dovrebbe ripartire il 19 settembre.

Per i metalmeccanici, così come per il governo, una grande fonte di preoccupazione è il gruppo Stellantis e più in generale il settore dell’auto: nei primi sei mesi di quest’anno dagli stabilimenti ex-Fiat sono usciti solo 303.510 autovetture e furgoni commerciali, con una caduta del 35 per cento rispetto allo stesso periodo del 2023; nuovi modelli vengono prodotti fuori dall’Italia; la gigafactory di batterie che dovrà nascere a Termoli è slittata, dal 2026 a data ancora da chiarire; Comau, fiore all’occhiello della robotica, è stata venduta a un fondo d’investimenti; il brand più lussuoso della società franco-italiana, Maserati, è in attesa di un rilancio; e nel frattempo le case cinesi annunciano investimenti in giro per l’Europa, dalla Spagna alla Turchia passando per l’Ungheria, lasciando il nostro Paese a bocca asciutta, almeno per ora.

Le tre organizzazioni sindacali dei metalmeccanici, Fim, Fiom e Uilm, pretendono «garanzie per tutti gli stabilimenti, nuovi modelli, volumi produttivi, rilancio occupazionali, della ricerca e dello sviluppo. Sono urgenze sulle quali l’azienda non ha dato ancora certezze». Per questo i sindacati si appellano direttamente al ministro delle imprese e del Made in Italy Adolfo Urso e alla premier Giorgia Meloni. «Al governo chiediamo che si impegni nella politica industriale mettendoci delle risorse» dice Uliano della Fim «altrimenti rischiamo di restare appesi alle parole. Nel caso dell’auto abbiamo elaborato un percorso per uscire dalla crisi, condiviso dal governo e da Stellantis. Ma se poi non ci si mettono le risorse tutto diventa complicato».

In una lettera a John Elkann, presidente di Ferrari e Stellantis, il segretario generale della Uilm Rocco Palombella ha ricordato che lo stabilimento Maserati di Grugliasco è stato chiuso, lo stabilimento Ciro Menotti di Modena, è quasi fermo e l’Innovation Lab sta per essere smantellato, mentre a Mirafiori è cessata la produzione di Levante e a Cassino si producono poche unità di Grecale. «Tutto questo ha già portato a migliaia di lavoratori in cassa integrazione, alla perdita di posti di lavoro e di preziose professionalità, che in molti casi hanno rafforzato i competitor». Per questo Palombella auspica la nascita di un polo Ferrari-Maserati, con l’uscita di quest’ultima dall’orbita Stellantis.

L’esecutivo è nel mirino dei sindacati anche sul fronte siderurgico: per l’ex Ilva di Taranto si è in attesa di un acquirente che riporti la produzione a livelli accettabili. «Per quanto riguarda l’ex Ilva vogliamo verificare ed essere aggiornati costantemente fino alla vendita della più grande azienda siderurgica italiana perché vogliamo garanzie reali su ambiente, occupazione e produzione. E per quanto riguarda Piombino registriamo dei rallentamenti per arrivare a una soluzione, in particolare resistenze nel cedere aree ai nuovi investitori» ha dichiarato Palombella della Uilm. Fuori dai settori industriali, la tensione resta alta nel trasporto pubblico locale, dove raffiche di scioperi hanno reso difficile la vita ai cittadini di molte città. Il contratto di lavoro nazionale, che interessa oltre 100 mila autoferrotranvieri, è scaduto nel 2023 e i sindacati chiedono alle aziende un aumento mensile di 300 euro e al governo di stanziare nuove risorse: mancano infatti 700 milioni annui al fondo che finanzia il contratto. Nuove proteste partiranno a settembre in tutto il Paese, dopo la «franchigia» estiva. Nel commercio e turismo, spiega Davide Guarini, segretario generale Fisascat Cisl nazionale, resta da firmare il contratto con la Confindustria, che rappresenta le grandi catene alberghiere e i tour operator. Una trattativa dura con la proclamazione di 16 ore di sciopero.

Insomma, un clima incandescente che investe a macchia di leopardo molteplici settori. A cui si aggiunge l’iniziativa della Cgil di raccogliere le firme per quattro referendum abrogativi con l’obiettivo di rendere più difficili i licenziamenti e il lavoro a termine. Una delegazione guidata da Landini ha consegnato alla corte di Cassazione a Roma 1.036 scatoloni con quattro milioni di firme. Se i referendum si faranno, si tratterà dell’ennesima sfida alla Confindustria e al governo Meloni.

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