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Operaio ucciso a botte in dieci minuti, dopo il pestaggio l’assassino si è lavato 

CILAVEGNA. Una decina di minuti, misurati tra una scena ripresa da una telecamera e la chiamata al 118. È l’arco di tempo in cui si è consumato l’omicidio di Giuseppe Sgroi, 54 anni, l’operatore ecologico ucciso di botte, nella notte tra martedì e mercoledì, nella sua abitazione di via Dei Mille a Cilavegna. Dieci minuti per compiere un pestaggio brutale, che si è concluso con la morte dell’uomo. L’assassino si è poi lavato: tracce di sangue sono state trovate nel lavandino del bagno e sugli asciugamani.

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I dettagli emergono dalla richiesta di custodia in carcere presentata dalla pm Valentina Terrile per il fratello della vittima, Massimo Sgroi, 52 anni, e Giuseppe Di Stefano, 34 anni, l’amico e ospite della vittima, uscito dal carcere un paio di mesi fa, per una storia di stalking, e accolto nell’alloggio di via dei Mille. Entrambi erano in casa quando è avvenuto il pestaggio. Il fratello della vittima, assistito dall’avvocata Valentina Zecchini Vaghi, ha risposto alle domande della giudice Maria Cristina Lapi, che ieri mattina lo ha interrogato in tribunale. Di Stefano invece si è avvalso della facoltà di non rispondere.

La telecamera

Il lasso di tempo in cui l’omicidio si è consumato è ricavato dall’orario di una telecamera del paese, che ha ripreso la vittima uscire di casa alle 23.55, e la chiamata al 118, che risale alla mezzanotte e 12 minuti. In tutto, 17 minuti. In questo arco di tempo Giuseppe Sgroi esce e va in centro al paese (non si sa perché ma altre telecamere lo riprendono mentre cammina verso la piazza), dopo che c’è stata una pesante discussione in casa, per motivi legati alla convivenza tra gli inquilini, poi torna nell’alloggio.

«Non mi sono nemmeno accorto che era uscito», ha detto il fratello ieri mattina nell’interrogatorio.

Fatto sta che poco dopo la mezzanotte Di Stefano chiama il 118 e i carabinieri: quando gli operatori entrano nell’appartamento Giuseppe Sgroi è già morto.

Il corpo è riverso sul pavimento della cucina. C’è sangue dappertutto. La vittima ha il volto e il cranio massacrati. Sul collo ci sono alcuni lividi e una ferita, che fanno pensare a un tentativo di strangolamento.

Per il medico legale che esamina il corpo, chi ha ucciso ha infierito sulla vittima anche prendendola a calci in faccia, probabilmente quando era già per terra.

Giuseppe Sgroi sarebbe morto quindi per le percosse, ma le cause del decesso saranno precisate solo dall’autopsia, che sarà eseguita la prossima settimana: martedì saranno assegnati gli incarichi al medico legale Giacomo Belli e alla tossicologa Claudia Vignali.

L’assassino si è lavato

Per ricostruire la dinamica del pestaggio e soprattutto per precisare le responsabilità dei due indagati sarà determinante l’analisi di un altro indizio: le tracce di sangue nel lavandino e su alcuni asciugamani, segno che l’assassino si è lavato.

Le tracce saranno esaminate per isolare il Dna, quello della vittima ma anche quello di chi ha usato le salviette. Massimo Sgroi su questo aspetto ieri mattina è stato incalzato dalla pm, ma lui ha negato di essersi lavato.

Il fratello della vittima ha poi dato la sua spiegazione delle macchie di sangue presenti sui suoi abiti: «Quando ho visto mio fratello per terra l’ho toccato sul fianco, forse in quel momento mi sono sporcato».

Anche Di Stefano era sporco di sangue e tracce ematiche erano presenti in diversi punti della casa. I vestiti di entrambi gli indagati sono stati sequestrati e saranno proprio gli accertamenti tecnici a chiarire i tanti dubbi che ancora restano sull’omicidio.

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