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Tavčar e I Pionieri che fecero Tv Koper con il basket in diretta che colpì Berlusconi

TRIESTE. Fecero scoprire a milioni di italiani una piccola emittente televisiva quando ancora non esistevano le tv private. Sono i giornalisti che tennero a battesimo Tv Koper-Capodistria, ‘I Pionieri’, come li chiama Sergio Tavčar nel suo libro omonimo (Bottega Errante, 192 pagg., 18 euro, che verrà presentato in anteprima martedì 3 settembre al Miela con l’autore e Paolo Rumiz), in cui ripercorre quarant’anni della sua professione e ‘delle incredibili storie di una tv di confine’, arricchendo il tutto con tantissimi aneddoti: curiosi, divertenti, esilaranti. Come il dialogo al telefono tra il capo della redazione sportiva, Slavko Prijon, un vecchio partigiano comunista, e Silvio Berlusconi che voleva, e poi ci riuscì, papparsi anche Tv Capodistria.

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Tavčar è stata una voce apprezzatissima soprattutto dagli appassionati di basket, cui sapeva regalare telecronache tecnicamente competenti condite da commenti mai banali, taglienti e fuori dal coro. Il giornalista triestino ha fatto parte di Tv Capodistria, costola della Tv di Lubiana, a sua volta parte della Jrt, la tv di stato jugoslava, sin da quel maggio 1971 quando ufficialmente iniziarono le trasmissioni.

Il target, ma allora nessuno pensava di chiamarlo così, era la minoranza di lingua italiana d’oltre confine, ma grazie allo sport che veniva trasmesso a tutto spiano e che Capodistria trasmetteva addirittura a colori - e ai film osèe che passavano la sera tardi - in breve tempo le frequenze di Capodistria divennero note a un buon numero di telespettatori del nord Italia. La famosa sigla che segnava l’inizio e la fine de programmi, il pastorello col flauto, opera dello scultore sloveno Zdenko Kalin, divenne un marchio che rimaneva impresso come quello dell’Eurovisione.

Nel ruolo del pioniere Tavčar ci era finito per caso. «Il direttore di Radio Capodistria Mario Abram – ricorda - incontrò a un ricevimento al Consolato jugoslavo di Trieste mio padre, con cui si conosceva dai tempi subito dopo la Seconda guerra mondiale quando mio padre aveva insegnato per un anno al Liceo italiano di Capodistria e gli parlò dei piani della nuova televisione, esponendogli il problema dei telecronisti sportivi; mio padre gli propose subito di provare me, suo figlio, che era appassionato di sport e ambiva nella vita a fare il radiocronista».

Tavčar, studente di ingegneria, pensò che guadagnare qualcosa, anche se in dinari, andasse più che bene e si imbarcò di volata nella nuova avventura, coinvolgendo anche Sandro Vidrih, suo compagno di scuola delle medie. All’inizio i due amici sono convinti che pochi seguano le loro telecronache per cui, racconta Tavčar, «più che altro tentavo di far ridere Sandro accanto a me con qualche battuta». Invece quando la partita del campionato jugoslavo di basket, a quei tempi infarcito di fior di giocatori, diventa un appuntamento fisso del sabato pomeriggio, in Italia la gente comincia a seguire le partite in un numero che nessuno avrebbe potuto immaginare.

Un altro nome della redazione sportiva che chi ha una certa età sicuramente ricorda ancora è quello di Bruno Petrali, di cui Tavčar svela che il vero nome era Dante, ma si era guadagnato il soprannome di Bruno per il colore dei capelli. Pochi sanno che Petrali faceva il cantante, di quelli alla Fred Bongusto, e con la sua voce profonda da crooner riscuoteva un notevole successo nei night della costa istriana. Capitava che la notte facesse tardi e i suoi commenti, che già avevano poco ritmo, diventassero laconici. Una volta addirittura si addormentò durante una telecronaca, prima che il vecchio partigiano Prijon non lo svegliasse bruscamente a modo suo.

Dopo i tempi eroici, con le telecronache fatto dallo studio, davanti al monitor, a un certo punto, nel 1988, Tavčar si ritrova inviato alle Olimpiadi di Seul. Era successo che dopo quella telefonata Berlusconi, o chi per lui, ne aveva fatte altre. La piccola emittente di confine faceva gola perché aveva un asso nella manica, poteva trasmettere in diretta, cosa che la Fininvest quella volta non poteva fare. L’idea del Biscione era di fare di Capodistria una tv tematica a carattere sportivo e così a fine anni Ottanta giungono negli studi di via del Fronte di Liberazione Bruno Longhi, Sandro Piccinini, Massimo Marianella, Guido Meda e Dan Peterson, autentici mostri sacri del giornalismo televisivo. Nel 1990 però la guerra delle antenne partorisce la legge Mammì e per Capodistria, che non può più trasmettere il suo segnale in Italia, finisce l’epoca d’oro, quasi contemporaneamente al tramonto dalla Jugoslavia.

Anche nello sport si sentiva che il conflitto era nell’aria, ricorda Tavčar, che non può far altro che assistere al ridimensionamento della sua Tv all’interno del sistema informativo della neonata Slovenia. Un finale un po’ malinconico, concluso con l’inevitabile pensionamento, che però non incide sulla verve del giornalista che tuttora, sul suo blog, continua a ricevere gli apprezzamenti di quanti hanno seguito lo sport grazie a Tv Capodistria e alle sue telecronache.

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