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Lavorare sì, ma in condizioni adeguate. Per attrarre i giovani il terzo settore deve ascoltarli

Le ong sono percepite come veicolo affidabile e cool per le speranze di cambiamento sociale, occupazionali e di una vita ‘degna di essere vissuta’ da parte dei giovani?
Su questa domandaLeaders4 Future”, la rete dei direttori generali delle ong e del Terzo settore, si è confrontata di recente a Roma a partire dalle crescenti difficoltà di recruitment, di aumento del turn over tra i profili più giovani che in alcuni settori come la Cooperazione Sociale supera il 35% e che per il 45% è frutto di dimissioni volontarie (dati Euricse) e di ricambio generazionale.

Forza e debolezza del Terzo Settore

Non molti sanno che il Terzo Settore in Italia e nel mondo è stato uno dei bacini occupazionali e in maggiore crescita degli ultimi trent’anni: circa un milione di occupati a tempo indeterminato (7% dell’occupazione in Europa) più un ampissimo indotto di collaborazioni ‘a progetto’ ed un Pil in Italia del 4% – all’incirca come quello agricolo. Una infrastruttura valoriale, economica, sanitaria, sociale e ambientale diffusa, inclusiva, a supporto insostituibile delle persone (tutte) e al presidio dei territori.

Un Terzo Settore che offre tanto ai giovani – in termini di prospettiva di senso, impegno, protagonismo, crescita personale e professionale – ma che chiede anche tanto, a volte troppo, spesso male. Con giovani che dopo triennale, Erasmus, specialistica, volontariato, si sentono offrire ancora una “collaborazione volontaria’, un tirocinio mal pagato o un salario di ingresso di 1000 euro. Queste richieste si scontrano oggi totalmente con le aspettative e i valori dei ventenni (Generazione X o Centenials, nati 1997-2012) che vivono – letteralmente – in un altro mondo rispetto alle generazioni precedenti.

Una nuova ‘antropologia’ giovanile

Come hanno sottolineato molti dirigenti delle ong, “i giovani non sono più disposti a buttarsi nel fuoco per una buona causa quanto le generazioni precedenti” (Guglielmo Micucci di Amref), non sono interessati solo al brand: ‘Sì, bello il Wwf, ma che prospettiva mi offrite?'” (A.Prampolini DG WWF) – “Devono capire che questo prima che un lavoro è un impegno sociale ed ambientale” (G.Zampetti DG di Legambiente), “Vogliono andare a fare progetti di cooperazione internazionale sul campo, ma con base in Italia e senza stare troppo fuori” (E.Sassoni di Social Change School).

Il Terzo Settore, per essere ancora attrattivo a livello occupazionale, deve gestire la mutazione antropologica e una nuova narrativa del lavoro. Se nella seconda metà del XX secolo, in un mondo occidentale influenzato dalla cultura capitalista era dominante il mantra “il tempo è denaro”, ora assistiamo ad un cambio di paradigma che scuote il mercato del lavoro. Alcuni millennials (1981-1996), ma soprattutto la generazione Z (1997–2012), sostengono con forza che “il tempo è il denaro”, ponendo al centro del dibattito la necessità del diritto al tempo libero per vivere appieno le diverse dimensioni della vita e un equilibrio vitale che preservi la salute mentale, messa a dura prova dalla pandemia del Covid-19. E quindi, ad esempio rifiuto degli straordinari, non per pigrizia, ma per conflitto sui valori.

Lavorare sì, ma in condizioni adeguate che permettano di fiorire in tutti gli altri aspetti della vita, rifiutando lo stakhanovismo, l’eccessiva ambizione di carriera, il bisogno di essere e sentirsi produttivi a tutti i costi, e diano il tempo per i rapporti umani, la famiglia, gli hobby, i viaggi la lettura – tutte cose legittime e di valore.

Le ong e il Terzo Settore saranno obbligate a lavorare su quello che in inglese viene definito “Employer Branding” per convincere le nuove generazioni – proprio come fanno con i donatori che finanziano i loro progetti – che la loro missione, il loro lavoro e il loro impatto valgono davvero la pena. A ringovanire gli HR e migliorare la qualità degli Uffici Risorse Umane, troppo spesso ultima ruota del carro, e da ora centro nevralgico e sine qua non. HR – anche nel profit – sempre più disorientati rispetto al mondo giovanile, come sottolineato da Stefania Grea, Segretario Generale di Fondazione Manpower.

Un cambio di prospettiva importante, per un settore abituato a vedersi come lo spazio naturale di chi vuole costruire un altro mondo possibile, e che rischia di perdere la competizione con le aziende, sempre più ‘appealing’ nell’indice di fiducia del “trust barometer” – come sottolineato dalla CEO Fiorella Passoni – e grazie all’offerta di ‘purpose’, valori sostenibilità – e- non secondario – stipendi più alti. Ed è così che, nel terzo settore, gli elementi contrattuali che prima facevano parte del “Nice to have”, diventano elementi fondamentali, diritti non negoziabili, affinché i giovani accettino un lavoro nel settore (e restino più di sei mesi o un anno).

E non si tratta di mancanza di motivazione o di vocazione, perché se i Centenials ci mostrano qualcosa è proprio la loro attenzione ai problemi sociali e ambientali, anche al di fuori dei social network e della virtualità. Creando a volte realtà imprenditoriali sorprendenti ed in grado di sfatare tutti i luoghi comuni, come hanno fatto i ventenni dell’impresa sociale di Scomodo”, una realtà imprenditoriale ad alto impatto e che vale milioni di euro.

Chi si ostina a vedere i giovani solo come persone che vivono nell’immediatezza, in una bolla di egoismo, con crisi di ansia e intolleranza alla frustrazione, copre il sole con un dito. Quello che abbiamo davanti è un cambio di epoca e non un’epoca di cambiamento: una nuova era in cui le istanze delle nuove generazioni (considerando che millennials e Z sono già la metà della popolazione mondiale) si ripercuotono su quelle vecchie generazioni che in alcuni casi stanno arrivando a ripensare i propri paradigmi lavorativi e la propria narrativa lavorativa, superando gli schemi.

Serve, come spiegato da Francesco Petrelli (Resp. Istituzionale Oxfam Italia e tra gli esponenti più rappresentativi del mondo delle ong), un vero e proprio ‘patto generazionale’ affinché sia i giovani che le ong possano esprimere il massimo potenziale di miglioramento sociale in una situazione di equilibrio personale e benessere organizzativo.

Scritto con Diego Battistessa, Professore e ricercatore presso l’Università Carlos III di Madrid, specializzato in Diritti Umani e Cooperazione Internazionale. Coordinatore del Master in Azione di Solidarietà Internazionale e Inclusione Sociale – UC3M- Esperto di problematiche di genere, Blogger de IlFattoquotidiano.it

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