Per le matriarche Dem la speranza torna con Kamala: si era persa durante la presidenza Biden…Harris?
L’agosto che ci lasciamo alle spalle è stato quello della consacrazione di Kamala Harris la quale, nel corso della convention democratica di Chicago, ha ottenuto la scontata nomination per le elezioni Presidenziali del prossimo 5 novembre. La miglior candidata possibile per il ruolo di Comandante in Capo: parola di chi, fino a un mese fa, ci spiegava che il miglior candidato possibile per il ruolo di Comandante in Capo era l’inamovibile (ma non troppo) Joe Biden.
La sintesi della quattro giorni è semplice: Kamala è la superdonna che il mondo stava aspettando e quell’altro – Donald Trump – è brutto, sporco e cattivo, ma soprattutto è ricco. E dei ricchi bisogna sempre diffidare, ha spiegato Michelle Obama: patrimonio stimato 70 milioni di dollari, citando gli insegnamenti materni.
Sull’enorme palco di Chicago, tutto l’establishment progressista ha sfilato per spiegarci che loro, alcuni dei quali al potere da oltre 40 anni, sono i buoni che si battono per la giustizia e in favore della povera gente, mentre Donald Trump è un mostro che aspira ad instaurare una dittatura, sopprimendo il dissenso e perseguitando gli oppositori. La scena, alla DNC, è tutta per le donne, con i maschietti, presidente in carica e coniuge commosso compresi, relegati al ruolo di valletti e comprimari.
Hillary, Michelle, Alexandria, Oprah e Nancy si sono prese la scena per tessere le lodi della Harris, divenuta improvvisamente, la stella più brillante del firmamento nonché l’incarnazione del bene: le matriarche Dem hanno evocato con fierezza le loro madri, mentre nel parcheggio, su un furgone di Planned Parenthood, si praticavano aborti farmacologici per garantire quella reproductive freedom (come abbelliscono le cose i progressisti, nessuno al mondo!) unico punto noto del programma di Kamala. Nessuna rivendicazione del lavoro già portato a termine: in fondo la Harris è la seconda carica del Paese da quattro anni, eppure è tutto un “farà, si occuperà, risolverà, penserà…” come se alla Casa Bianca oggi sedesse qualcun altro. “Hope is making a comeback”, tuona Michelle Obama: la speranza sta tornando. Si era persa da qualche parte durante la presidenza Biden-Harris? Per Hillary Clinton, che ancora mastica amaro per non aver saputo cogliere l’occasione di essere lei la prima donna presidente, “the future is here”.
In realtà, la vice presidente in carica è il presente, e ha già avuto un intero mandato per dare sfoggio delle sue competenze spiegando, ad esempio, che “L’Ucraina è un Paese in Europa. Vicino a un altro Paese chiamato Russia” e che “La Russia è un Paese più grande. La Russia è un Paese potente. La Russia ha deciso di invadere un Paese più piccolo che è l’Ucraina. Quindi, fondamentalmente, questo è sbagliato e va contro tutto ciò che noi rappresentiamo.” La Clinton ha ribadito con enfasi che Kamala è all’altezza della presidenza perché conosce la macchina, lei siede nella situation room. Avrà assorbito lì queste approfondite nozioni di geopolitica? In fondo, a pensarci bene, a che serve avere un piano per risolvere i conflitti in corso nel mondo o arginare l’inflazione che sta distruggendo l’economia USA, quando puoi proporre l’aborto come soluzione a ogni problema? Sì, perché più volte interrogata su questioni economiche, la vice di Biden ha risposto che sì, l’economia è importante e lei farà certamente qualcosa, ma ciò che veramente conta è essere liberi, liberi di abortire e di amare chi si vuole.
Geniale, no?
D’altronde, non le serve fornire risposte per dimostrarsi competente: è brava perché è femmina.
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