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Difendere la mente dall’invasione dell’Ai: prontuario per non finire (tutti) nel Truman show

«Non ho una telecamera nella testa!». L’urlo liberatorio di Truman, il protagonista del quasi omonimo film interpretato da Jim Carrey (The Truman Show), appare sempre più, in un mondo in cui la tecnologia compie passi da gigante, come un manifesto politico ed esistenziale. Nel 1998, anno d’uscita della pellicola ispiratrice dei reality, la trama dell’uomo immerso in un Grande fratello, centro di un panopticon che ne osserva morbosamente ogni movimento sembrava fantascienza. Riavvolgere il nastro di quel film oggi, invece, con il bagaglio esperienziale che in ventisei anni abbiamo accumulato mediante il combinato di tecnologie digitali e controllo sociale, rende ‘The Truman Show’ una preconizzazione oltremodo insidiosa della realtà.

Il dogma politicamente corretto

Se, infatti, l’utilizzo ormai indispensabile dei mezzi digitali ci ha resi più o meno consapevoli che la nostra riservatezza sia materia ampiamente derogabile, fino a oggi abbiamo considerato almeno il pensiero personale un luogo libero da intrusioni esterne. Sia chiaro, la cappa di conformismo culturale rende tutt’altro che comodo esprimere pubblicamente un pensiero indocile ai tabù dominanti. Chi lo fa, dev’essere disposto a salire idealmente sul patibolo della pubblica riprovazione allestito dai sacerdoti del dogma politicamente corretto. Quella del pensiero, pertanto, può essere considerata oggi una sorta di libertà condizionata, ma pur sempre una libertà. Il rischio, tuttavia, almeno secondo un’esperta in materia, è che con l’avvento dell’Intelligenza artificiale (Ia) anche questo luogo avulso dall’oppressione del controllo possa venire violato.

Nel 2025 arrivano i sensori cerebrali

In un’intervista pubblicata nel settembre scorso su Il Messaggero, Nita Farahani, docente di Legge e Filosofia alla Duke University, considerata tra i più importanti studiosi delle implicazioni etiche, legali e sociali della neurotecnologia, ovvero dei sensori in grado di rilevare l’attività del cervello, ha lanciato un monito. Già nel 2025 – ha spiegato – è previsto il lancio di un dispositivo di interfaccia cervello-computer capace, attraverso la nostra sola intenzione, di muoverci su uno schermo, mandando così in soffitta mouse e tastiere. «I sensori celebrali rileveranno l’attività cerebrale nello stesso modo in cui i sensori cardiaci rilevano la frequenza cardiaca», ha avvisato la Farahani.

Libertà di pensiero a rischio?

E cosa implica questo progresso tecnologico? «Allo stesso modo – l’allarme dell’esperta – in cui la trasparenza permette l’accesso a noi stessi, la permette anche alle aziende, ai governi e ad altri. Finora – ha spiegato ancora a Il Messaggero l’unico spazio che abbiamo avuto per la privacy del pensiero è stato il nostro cervello. Ma una volta che i sensori sono in grado non solo di rilevare, ma anche di decodificare e potenzialmente anche di modificare ciò che accade nel nostro cervello, molte altre persone che hanno accesso a quelle informazioni possono usarle a fin di bene, ma anche per violare la nostra privacy mentale, per perseguitarci per i nostri pensieri e per interferire con il nostro pensiero». La Farahani, che sul tema ha scritto un libro foriero di dibattito negli Stati Uniti (The Battle for Your Brain), il quale ancora non risulta tradotto in italiano, si appella finanche alle Nazioni Unite affinché venga difesa la prerogativa umana di pensare liberamente. Nell’era dell’Intelligenza artificiale, dunque, la mente sarebbe un avamposto di libertà da difendere dal pericolo di ritrovarci nell’evoluzione distopica del Truman Show.

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