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America's Cup, tra storia e curiosità

Le migliori barche del mondo arrivano nel mediterraneo per contendersi la prestigiosa America’s Cup. Storia di un trofeo e delle imbarcazioni italiane che hanno provato a vincerlo.

Con perdonabile approssimazione, l’America’s Cup si potrebbe definire Formula 1 dei mari. Non fosse che sarebbe più giusto il contrario: la mitica gara tra barche a vela - due, chi detiene il titolo, Defender, e la sfidante, Challenger-, si tenne la prima volta nel 1851, in acque britanniche, quando il motore a scoppio era di là da venire, figuriamoci la Formula 1. La storia della competizione, affascinante, con velisti provetti, barche all’avanguardia, colossali investimenti economici, regole osservate e trasgredite, ha riempito libri e pagine di giornale, trasmissioni radio e tv, documentari, filmati, e da un certo punto in avanti notiziari digitali, divagazioni social, discussioni nei blog di tutto il mondo.

La febbre non accenna a diminuire, anzi. Sono appena partite le regate preliminari nelle acque di Barcellona, dove si tiene la 37esima edizione della celebre gara. Prepariamoci a una sesquipedale copertura mediatica, con culmine tra 12-21 ottobre, per il duello tra Team New Zealand - che detiene il titolo - e la barca sfidante che uscirà dalle competizioni della Louis Vuitton Cup (finali in programma tra 26 settembre e 5 ottobre). Speriamo che a incrociare le vele con i Kiwi - modo per nulla offensivo di appellare i neozelandesi - siano gli italiani, ovvero la meraviglia tecnologica e nautica Luna Rossa, nome di barche sempre diverse scese in mare la prima volta, per l’America’s Cup, nel 2000. Dietro c’è, fin dall’inizio, con passione incrollabile, l’imprenditore Patrizio Bertelli, aretino naturalizzato milanese, marito della stilista Miuccia Prada e presidente del gruppo di famiglia, tra i più celebrati della moda italiana e internazionale.

Bertelli è stato velista professionista negli anni Settanta: solcare i mari per lui non è un capriccio da ricchi, ma uno stile di vita, che richiede disciplina e chiare visioni degli obiettivi. L’ultima edizione dell’America’s Cup si tenne nel 2021, ad Auckland (Nuova Zelanda), e vide in gara Luna Rossa Prada Pirelli Team contro i padroni di casa, che si aggiudicarono il trofeo. Nel duello di quest’anno - sempre che il team italiano si piazzi in finale - la barca è la stessa, naturalmente ottimizzata rispetto al 2021. È uno scafo «foiling» (ovvero dotato di ali subacquee che permettono alla barca di alzarsi fino a volare sull’acqua, all’incredibile velocità di quasi 100 km orari) lungo 20,7 metri, con equipaggio di otto velisti. Il nuovo AC75 di Luna Rossa Prada Pirelli è un gioiello, un concentrato di pensiero nautico e tecnologico, oltre che di stile italiano, uscito dal cantiere Persico Marine di Nembro, nella Bergamasca, specializzato nelle costruzioni in carbonio e nella nautica high tech. L’albero alare è alto 26 metri e mezzo e la superficie velica è intorno ai 220 metri quadrati.

Lo skipper e team director è Max Sirena, velista riminese di 53 anni, che ha partecipato a ben sette America’s Cup, vincendo due volte: nel 2010 con Oracle (Stati Uniti) e nel 2017 con Team New Zealand, tuttora detentore della coppa. Max-Massimiliano ha inoltre vinto con Luna Rossa la Louis Vuitton Cup nel 2000 e la Prada Cup nel 2021. Tutto sembra essere pronto per avere massime soddisfazioni (al diavolo le scaramanzie, per una volta). L’assalto italiano al cielo dell’America’s Cup, o Coppa America, è partito da tempo, senza ancora raccogliere il successo finale. Chi non ricorda la barca Azzurra, nel 1983, con skipper Cino Ricci e timoniere Mauro Pelaschier? Dietro il sindacato che la presentò, in nome dello Yacht Club Costa Smeralda, c’erano l’Aga Khan (tra gli inventori della Costa Smeralda, nel 1962) e Gianni Agnelli. Azzurra era il primo team italiano per la Coppa America. Poi, dopo la barca Italia con il patrocinio della famiglia Gucci, che veleggiò nel 1987, fu la volta del Moro di Venezia, 1992. Finanziata da Montedison, con armatore il fascinoso Raul Gardini (morì suicida a Milano un anno dopo, il 23 luglio 1993, in seguito alle indagini di Mani Pulite in cui rimase coinvolto), prese il mare con skipper e timoniere Paul Cayard.

Il Moro eliminò in semifinale francesi e giapponesi, vinse sui neozelandesi la finale della Louis Vuitton Cup. Ottenne la possibilità della sfida alla barca titolare della coppa, americana. Il team di Gardini-Cayard è stato il primo non anglofono a disputare il duello finale (perso). Poi cominciò l’era Luna Rossa, che stiamo ancora vivendo. La barca per la quale ci prepariamo ad applaudire. Come facemmo all’esordio, a inizio secolo, quando il duello tra la barca di Bertelli - prima nelle regate round robin nell’ottobre 1999, poi nelle finali con il detentore Team New Zealand tra fine febbraio e inizio marzo 2000 - affascinò l’Italia intera, conquistando pure chi fosse a completo digiuno dell’arte velica. La gara si svolgeva nelle acque degli antipodi, obbligando gli italiani, causa fuso orario, a incredibili levatacce pur di non perdere un gioco di bolina, uno spruzzo, un inseguimento, un incrocio di vele in quel lontano oceano. Allora erano nati da poco gli sms: ebbero un improvviso incremento in Italia proprio grazie all’America’s Cup. Erano più veloci della radio, della televisione, non parliamo dei giornali. Quel duello emozionante come una finale di Coppa Campioni non premiò l’Italia, ormai entrata a pieno diritto nel club esclusivo della più prestigiosa e antica corsa velica.

I lettori di Panorama l’avranno letto molte volte, ma raccontiamo ancora perché la barca si chiama Luna Rossa, nome suggestivo, romantico. Fu un’illuminazione di Bertelli, una sera d’estate a Punta Ala, prima di una cena di pesce con gli amici.

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