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Aumentano gli occupati ma le ore si dimezzano: vi racconto una storia vera

Statistiche d’estate. Aumentano gli occupati: grandi giornali e tv a rilanciare dichiarazioni di ottimismo e di successo. Il paese si muove, cresce, progredisce. Ben nascosto fra chiacchiere e gossip il dato della diminuzione delle ore lavorate: come si concilia con l’ottimismo del paese che cresce rigoglioso? Nella seconda parte del post vi racconto una storia vera, di questi tempi, un esempio di come stiano tutti mentendo. Anche le statistiche ci dicono che l’Italia è sempre più povera. Prima però un po’ di esercizio mentale in un paese che l’Alzheimer ce l’ha nel suo dna.

La mente dei più maturi fra noi corre facilmente alla stagione dei “contratti di solidarietà” (Legge n. 863/1984) che si diffusero massicciamente nella seconda metà degli anni 80, specie nelle grandi industrie in crisi. A fronte delle prime avvisaglie della deindustrializzazione – fatta delocalizzazioni, cassa integrazione lunga, incentivi forzosi alle dimissioni volontarie, prepensionamenti eccetera – governo, sindacati e datori di lavoro escogitarono la formula del lavorare meno, con decurtazioni ancora sopportabili dello stipendio, per continuare a lavorare in molti. Così l’ondata di licenziamenti nell’aria venne attutita, la grande industria abbozzò, foraggiata da soldi pubblici come mai prima.

L’ex classe operaia continuò a illudersi che niente sarebbe peggiorato, i sindacati a costruire la loro rete di servizi, più redditizia e foraggiata dallo Stato, abbandonando, chi più e chi meno, i lavoratori a rischio al loro destino. Che si aprissero una partita IVA e si tirassero su le maniche, il tempo dei garantiti stava finendo: cominciava il lavoro coi nomi in inglese e le garanzie in nero, ma erano sempre altri ad arricchirsi. Un anticipo della cultura del divanismo, della “meritocrazia secondo me”, e del sistematico disprezzo degli speculatori verso i produttori, cacicaturalmente rappresentati come “ancorati al passato”.

L’informatica devastava il lavoro impiegatizio nel settore privato e ne riduceva il bisogno anche nel pubblico; il ceto medio che, specie qui al nord, era il cliente principale dei servizi di massa (dai ristoranti alle spiagge attrezzate, passando per i servizi culturali e formativi), cominciava il suo lento declino in termini di potere d’acquisto, peso specifico, presa culturale e capacità di sostenere politiche di welfare e di distribuzione equa del reddito prodotto. Lo si vede bene, ad esempio, nella distribuzione dei parlamentari eletti per categorie professionali e produttive, nel tempo sono scomparsi non solo l’operaio massa, fattosi esponente politico comunista, ma anche del perito o dell’ingegnere suo capo eletto nelle liste della DC. Quando gli interessi non sono direttamente salvaguardati, le scelte e le leggi le fanno gli altri per salvaguardare i loro: avvocati, medici e funzionari pubblici, notai, giornalisti, eccetera. Da parecchio ormai chi produce e lavora è fuori dai consessi elettivi. Il fallimento della politica è anche questo, aver escluso una parte considerevole del paese dalla rappresentanza politica.

Anno dopo anno, uno schiaffo via l’altro, spesso a fingere di non vedere ciò che era evidente, e siamo arrivati all’oggi. Giovanna ha appena rinunciato a un lavoro part-time, assunta da Adecco e ‘affittata’ ad una grande catena di fast food. Confesso che anche a me è venuto il rigurgito reazionario quando me l’ha detto, così l’ho presa a male parole. L’hanno contattata proponendole un contratto part-time di 20/24 ore settimanali (650/800 euro netti al mese circa) che poi avrebbe potuto diventare una vera assunzione a tempo indeterminato. Era al settimo cielo, aggiungendo una ventina di ore a pulire condomini avrebbe finalmente portato a casa uno stipendio degno di questo nome. Appena ha accettato, le ore sono diventate 15, 3 al giorno per 5 giorni, in pratica un part part-time. Hanno preso un contratto da 30 ore, l’hanno diviso a metà e così gli occupati sono raddoppiati.

Superata la delusione, Giovanna ha pensato di accettare lo stesso: si tratta di una società solida, magari si aprono nuove prospettive, forse ci sono delle sostituzioni, deve solo aumentare le ore di pulizia dei condomini per bilanciare le mancate entrate. Si presenta emozionata per cominciare e riceve il prospetto orario della settimana: turni sparpagliati nelle giornate senza alcuna continuità e logica. Oggi lavoro al mattino, domani alla sera, dopodomani riposo, poi il pomeriggio e così via. Ogni settimana diverso, perfino i giorni di stacco non sono mai gli stessi.

Così diventerà molto difficile conservare gli altri lavori, ne parla con il caposquadra chiedendo un orario constante almeno a cadenza settimanale. Niente, le crews (le squadre di lavoro) sono strutturate così, se non le piace può solo lasciare. Giovanna se ne va perché deve mangiare, continua con i lavori in nero e raccogliticci. Le ho parlato di sindacato, mi ha risposto “Cosa c’entra il CAF con questa storia?”.

Inutile dire che l’unica cosa falsa del post è il nome della signora e che dispongo della documentazione di quel che ho scritto. Mi dico che non è inutile raccontare queste storie, magari riattivano qualcuna delle cellule celebrali devastate dall’Alzheimer nazionale. Se passate in un fast food pensateci.

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