Chiappini, il borgo di montagna che rivive grazie ai veneti di pianura
C’è una piccola frazione, che si chiama Chiappini, abbarbicata su un versante ripido che finisce centinaia di metri più in giù, nel torrente Valpora. Sta a diversi chilometri da un borgo più grande, Arina, nel territorio di Lamon. Chiappini è una frazione che quarant’anni fa venne man mano abbandonata dai suoi abitanti, gli anziani morti e i giovani emigrati in Svizzera ma anche altrove: un triste destino che riguarda molto del territorio lamonese e bellunese. Ma non è più il destino di Chiappini.
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Già a quel tempo c’era chi si era innamorato del borgo, con le sue case costruite in pietra, con i poggioli e i solai di legno e le scale esterne. Uno dei primi a comprare casa qui, cinquant’anni fa, è stato Gianni Salviato, di Mirano: «Ma ci avevo messo gli occhi sopra ancora 15 anni prima», racconta. Arrivato per caso, come tanti altri dopo di lui.
"Paor”, i caciaroni che non piacevano
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Ora la frazione di Chiappini è abitata solo da “paor”, il nome che i lamonesi danno da sempre ai turisti che arrivano dalla pianura veneta, padovani, veneziani, trevigiani e vicentini. Un tempo “paor” non aveva una connotazione positiva, indicava un certo modo di fare, poco montanaro e molto caciarone.
Secondo una delle abitanti di Chiappini, Carla, il termine “paor” è una contrazione di Padova, padovani, dove d’inverno andavano molti pastori transumanti lamonesi. Al giorno d’oggi comunque il termine ha una connotazione più che altro geografica. Ai Chiappini sanno benissimo come li chiamano i lamonesi e lo sanno così bene che lo hanno messo sulle magliette “I paor dei Ciapin” che indossavano tutti.
Domenica primo settembre, infatti hanno aperto le porte delle loro case ai visitatori, a tutti coloro che hanno voluto affollare la piccola e splendida frazione. Un borgo recuperato e restaurato rispettando lo stile delle costruzioni, con i poggioli in legno pieni di fiori, le staccionate, il selciato in pietra, le stradine.
E sono arrivati in molti, attirati dal curioso invito ad entrare in casa d’altri, a sbirciare nelle stanze, a stupirsi per come sono stati restaurati i locali. E magari alla fine a brindare, ricordando, soprattutto molti abitanti di Arina, quando ai Chiappini ci vivevano e ci andavano anche a scuola. Definire gli attuali abitanti dei Chiappini dei turisti è decisamente improprio: è vero che all’inizio venivano solo d’estate o nei fine settimana ma adesso molti di loro ci abitano sempre più spesso e c’è chi ha preso la residenza.
Alcune storie tra le tante
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Ennio Cerantola e la moglie Elena sono arrivati in pieno periodo Covid e hanno deciso di fermarsi qui. Lui ogni mattina prende la macchina e va fino a Borgo Valsugana dove lavora, partendo all’alba e tornando nel primo pomeriggio: «Ma quando arrivo qui, mi sento subito in ferie. Adesso sto cercando un pezzo di terra dove portare i miei cavalli che in questo momento sono ancora ad Asolo, dove vivevo».
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Un altro che passa qui diversi giorni ogni settimana è un artigiano dell’edilizia, Euclide Casarin, di Mirano. Riesce a conciliare il lavoro in pianura con lo stare ai Chiappini: e pensare che all’inizio non ci pensava proprio. È stata la moglie a convincerlo: «Pensavo soprattutto alle difficoltà per restaurare la casa che avevamo deciso di comprare, non c’è una strada di accesso e non è facile portare i materiali fino a qui».
La moglie, Rosalia, di animo e capacità artistiche, si era innamorata del posto fin dal primo istante, scesa dalla macchina all’inizio del borgo. È stata sua l’idea di abbellire le facciate con delle frasi, trasformando i Chiappini nel “paese delle case che parlano”.
Un esempio? “I luoghi che evolvono in ricordi sono quelli in cui il cellulare non ha campo, dove la bellezza della natura non dà scampo”, ma anche “E quindi uscimmo a riveder le stelle”.
Quattro case in vendita
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Attualmente le case occupate e vissute dai “paor” sono una ventina e altre quattro sono in vendita: chi le ha comprate, venti o trent’anni fa, ha dovuto lasciare a malincuore per l’età, la distanza dai servizi o vicende famigliari. Altri sono arrivati, negli ultimi anni. E tutti si sono innamorati all’istante dei Chiappini. Ma perché? È lontana da tutto, c’è una strada dissestata di quasi quattro chilometri da Arina per arrivarci (e Arina dista sette chilometri da Lamon, strada di tornanti tutta in salita), hanno dovuto provvedere da soli a portarsi l’acqua corrente, hanno costruito a loro spese una stradina di accesso tra le case, illuminata.
Cosa li ha fatti innamorare così tanto di quel posto? La risposta è praticamente unanime: il silenzio, la pace, l’aria buona, frizzante e fresca, il sole battente e caldo in inverno. Via dalla pazza folla, dal caos, immersi nella natura, tra uccellini che ti svegliano al mattino e ululati di lupi che si chiamano di notte da un bosco all’altro. E di fronte, al di là della valle, niente altro che alberi: né case, né pascoli alpini, né vette dolomitiche. Eccoli qui, i “paor dei Ciapin”, innamorati del loro borgo, che accolgono la gente che arriva dalla vicina Arina. Dice una signora: «Aspetta che vado a vedere dove c’era il bar: ci venivamo a ballare la sera, a piedi da Arina».
E un altro sbircia nelle stanze della vecchia scuola, dove sono in corso dei restauri da parte di uno dei primi abitanti semi stabili, Bruno Bragotto, arrivato qui dal Veneziano 42 anni fa. È stato presidente del Consorzio dei Chiappini, ora retto da Claudia Servile. E Claudia precisa: «Per restaurare le nostre case, per fare i lavori alla strada e ai sentieri, quelli per la luce e l’acqua ci siamo sempre rivolti a ditte locali. La spesa la facciamo qui, nel negozio di Arina o a Lamon».
Difficile chiamarli semplicemente turisti.
Antonio Carraro: «Qui l’essenza della vera montagna»
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«Ma lo sapete che gemma avete qui?». Lo ha scritto Antonio Carraro, di Padova, in una lettera inviata al sindaco di Lamon per la questione della strada. «Se guardi su Google maps, ti dice che Chiappini è un borgo fantasma. Incredibile. Questo non è un borgo fantasma, è un borgo ristrutturato e vivo». Carraro è arrivato su suggerimento di una collaboratrice: «Sono venuto a vedere e mi sono confrontato con lo sconcerto negativo per lo stato della strada e poi con lo sconcerto positivo quando la frazione mi è apparsa davanti, per quanto è bella».
Subito innamorato della casa anche se aveva bisogno di molti lavori che sono stati realizzati negli ultimi due anni, quando Antonio arriva ogni fine settimana ai Chiappini se ne va in giro per le altre piccole frazioncine che ci sono sul versante della montagna che da Arina arriva in fondo alla Valpora, in cerca di case abbandonate: «Le comprerei tutte per farle rivivere: mi chiedo chi ci ha vissuto, come si viveva allora, quanti sacrifici e fatiche per fare le case, aprire una strada».
Ma che idea di montagna hanno coloro che si sono innamorati di questo borgo? «Non cerco un resort con tutte le comodità, io cerco la montagna vera, la vera essenza: qui devi recuperare il valore del silenzio, del canto degli uccelli, del rumore dell’acqua. Non certo il tipo di montagna di posti come Corvara in Badia o in tutti gli altri luoghi affollati come fossero tanti Corso del popolo a Padova».
Posti diventati invivibili, come testimoniano le cronache giornalistiche di queste settimane estive, il famigerato overtourism che è diventata una delle parole più usate. Qui davvero non c’è. I rumori che si sentono sono quelli della natura, degli animali, il bramito dei cervi in autunno ma anche l’ululare dei lupi durante la notte. Eh sì, sono arrivati anche ai Chiappini.
Strada bocciata, la protesta del Consorzio
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«Voi non siete una priorità per noi». È una frase che fa male, ammette Claudia Servile, presidente del Consorzio dei Chiappini. Da anni il Consorzio si confronta con il Comune di Lamon su diversi problemi, il principale è quello della strada.
Il tragitto da Arina a Chiappini è di circa 3,5 chilometri: il primo chilometro, fino al bivio per la frazione Gai, è sterrato. La settimana scorsa, finalmente, sono stati portati due camion di ghiaia: «Poi a nostre spese abbiamo sistemato il tratto di strada».
Coperte le buche e livellate le asperità che tagliavano le gomme delle auto, per l’occasione è stato ripulito il ciglio da cespugli e erbacce. Quel tratto sterrato è sempre stato considerato comunale ma a quanto pare in Comune non ne sono più sicuri. «Ci hanno detto che faranno approfondimenti e ci vorrà un anno», continua la presidente. Dal bivio dei Gai ai Chiappini, oltre due chilometri, la strada è asfaltata ma stretta e non è comunale. Dopo un tragico incidente, è stata dichiarata interpoderale. «Servirebbe allargare alcuni punti pericolosi» spiegano gli abitanti, «realizzare altre piazzole per lo scambio delle auto che faticano a incrociarsi e qualche protezione in più».
Ci sono pochissimi parcheggi, e anche ieri, per consentire l’accesso dei visitatori al borgo, si è optato per un servizio di navetta. «Con il sindaco Noventa si era prospettata una soluzione, in tempi lunghi, ma una promessa c’era. Ma poi ci hanno detto che non siamo una priorità per il Comune. Sono delusa perché non viene riconosciuto il lavoro che abbiamo fatto per far rivivere Chiappini, la sistemazione della zona di accesso, perfino l’illuminazione della stradina ma anche tutto il lavoro di pulizia della strada interpoderale che facciamo a nostre spese», spiega Claudia Servile. Sperando che continui il servizio di sgombero neve che finora è sempre stato assicurato.