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Clan e ultras, è a Rosarno che si deciderà se vendicare l’omicidio di Antonio Bellocco

C’era una volta la mafia, quella della profezia di Sciascia che come “la linea della Palma” ne Il giorno della Civetta da Sud risaliva verso il Nord, adattandosi grazie ai cambiamenti climatici, ai contesti favorevoli. Così piano piano verso Nord è risalita anche la ‘ndrangheta e ci ha messo radici solide. Da anni molte operazioni antimafia svelano il nuovo volto della mafia che fa affari al Nord ma mantiene basi ben radicate nel territorio d’origine. Per un certo periodo poi c’è silenzio, sembra che non succeda nulla, fino a quando una lite, una vendetta, un omicidio, non mostrano ancora una volta che i clan calabresi hanno conquistato ruoli che contano oltre confine e detengono il potere.

Quello che è successo a Milano mercoledì, ovvero l’omicidio del rampollo della cosca rosarnese, Antonio Bellocco, detto Totò, erede di una delle famiglie più potenti della ‘ndrangheta calabrese, con alle spalle una condanna a 9 anni per associazione mafiosa e un trasferimento a Milano per gestire gli affari del clan, ne è la prova. Antonio Bellocco, ucciso con un taglio alla gola a Cernusco sul Naviglio, è figlio di Giulio Bellocco e Aurora Spanò. Il padre, rinchiuso al 41 bis dopo una condanna a 18 anni, è morto nel carcere di Opera a gennaio scorso. La madre, anche lei in carcere al 41 bis dopo una condanna a 28 anni, si è resa protagonista di diverse risse in galera. Di lei, fedele donna di ‘ndrangheta, si è parlato spesso perché ha picchiato altre detenute.

A Milano, l’omicidio di Antonio Bellocco, da parte di Andrea Beretta, capo degli ultras della curva Nord dell’Inter come Totò Bellocco, è destinato ad allargarsi, sia per le ripercussioni che ci possono essere, sia per quanto riguarda i retroscena, che forse sono i veri motivi per cui è stato compiuto il delitto.

Quel che si sa è che il nipote di Umberto Bellocco, era amico di Beretta. Sui social foto insieme, baci e abbracci uniti dal tifo per la squadra del cuore. Beretta, Berro, è anche picchiatore, daspato per dieci anni da tutti gli stadi e amico di Roberto Manno, legato alla ‘ndrangheta di Pioltello.

Martedì scorso Beretta e Bellocco erano insieme in un campo da calcetto, fotografati dall’amico comune Marco Federico che li chiama “Fratelli di Milano”. Al mattino dopo, però, i due si incontrano e, nonostante la partita della settimana prima, sanno entrambi che c’è aria di tempesta già da qualche settimana. Volano le coltellate, molte, che uccidono Bellocco, il quale aveva prima sparato al fianco all’amico Beretta. Perché entrambi giravano armati? Forse fra di loro non c’era solo lo sport e la scalata alla curva Nord. Anzi può darsi che alla base di quella scalata ci fossero affari convergenti: estorsioni, pestaggi, traffico di droga, controllo di parcheggi e di chi vende i panini allo stadio. Potere e comando, dentro e fuori dal campo di calcio.

Pare che Bellocco fosse diventato il capo occulto della curva Nord. E forse la famiglia Bellocco, con quelle mosse, era pronta a prendersi un altro pezzetto degli affari della città. Mentre Beretta a breve avrebbe terminato la sorveglianza speciale e sarebbe stato libero di gestire le sue cose per Milano, togliendo spazio al rampollo di ‘ndrangheta.

Probabilmente questi aspetti non sono di secondo piano. Anzi. Probabilmente gli affari criminali della curva Nord meritavano un maggiore approfondimento investigativo già prima. Forse sono stati trascurati altri fatti simili negli anni. Forse l’unico modo per placare gli animi e non dare inizio a una lunga scia di sangue è legato al filo di ritorno verso la Calabria, a Rosarno, il luogo in cui i capi decideranno se vendicare o meno questo omicidio. La percezione che si ha è che non sia finita qui…

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