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Gaetano Salvemini: un professionista galantuomo

Gaetano Salvemini è stato, oltre che un grande professionista, un galantuomo. Parola che sta quasi scomparendo dal nostro vocabolario ma alla quale Salvemini ha dato significato e valore. Di lui sportivo ricordiamo l’eleganza e le magie che sapeva fare in campo quando vestiva la maglia azzurra, il capolavoro della vittoria del Campionato di Serie B 1985/86 e l’approdo per la prima volta nella storia in Serie A. Di lui uomo ricordiamo il garbo, l’educazione, l’umiltà, il rispetto che aveva per gli altri, fossero suoi collaboratori, giornalisti, tifosi. Se ne va un pezzo importante della storia dell’Empoli FC e, per i tifosi che come il sottoscritto hanno superato gli “anta”, si riaffacciano dolci ricordi e memorie, nostalgie di un tempo in cui il calcio era solo calcio e realtà come l’Empoli potevano regalarsi sogni.

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A Salvemini il nostro Stefano Scarpetti dedicò un articolo con un’intervista il 13 febbraio 2020 ne “Un secolo d’azzurro”. Ve lo riproponiamo.

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La storia azzurra è fatta di personaggi che l’hanno caratterizzata, non possiamo certo dimenticare l’apporto fornito da Gaetano Salvemini. Un rapporto davvero speciale per chi, come lui, ha vestito la maglia azzurra fra il 1970 e il 1973 per poi tornare ad Empoli a fine carriera fra il 1976 e il 1978. La prima partita infatti l’ha disputata il 20 dicembre del 1970 a San Benedetto del Tronto, in quell’occasione vinsero i marchigiani per 1-0, l’ultima il 19 marzo 1978. Fu un Empoli-Grosseto terminata con il successo dei maremmani per 1-0. Complessivamente ha totalizzato 89 presenze mettendo a segno 21 reti. Poi inizia la carriera da allenatore divisa in due parti: la prima fra il 1978 e il 1981 in serie C e successivamente torna portando gli azzurri per la prima volta nella massima serie. La prima panchina in serie B è in Coppa Italia 21 agosto 1985 ad Ancona in una competizione chiusa ai quarti di finale nel doppio confronto con la Fiorentina. Mentre l’ultima panchina risale al 15 maggio 1988, successo per 3-2 contro il Pescara. Con lui abbiamo riavvolto il nastro, parlando dei capitoli più importanti di questa esperienza, facendo riferimento anche alle emozioni vissute.

Immagine di Gaetano Salvemini da giocatore

Riavvolgiamo il nastro ripercorrendo tutte le tappe della tua esperienza ad Empoli, parlaci della tua esperienza da calciatore: in che ruolo giocavi?

Ho ricoperto tutti i ruoli del centrocampo, da quello di mezzala per passare a regista nella parte finale della carriera. Mi chiamò il compianto Giampiero Vitali per dare una mano. Così feci, il mio compito era quello di far crescere giovani, missione che questa società ha sempre ricercato. Facevo una sorta di allenatore in campo. Prima di frequentare il corso di Coverciano e conseguire il patentino”.

Quindi dal campo alla panchina il passo è stato breve?

Si infatti, dopo aver terminato il corso ho iniziato ad allenare. Mi sono stabilito con la mia famiglia, iniziando quindi la mia carriera di allenatore in serie C. Ho guidato la squadra per tre stagioni conseguendo il mantenimento della categoria e adottando sempre la politica dei giovani”.

Qualche stagione di interruzione poi il ritorno ad Empoli per la grande cavalcata verso la serie A

Mi chiamò Bini, presidente dell’Empoli nella stagione 1985-86, e risposi positivamente a quella chiamata, la squadra era in Serie B. Riuscimmo a fare un campionato di vertice, al termine del torneo chiudemmo al 4^ posto a pochi punti di distanza dal Vicenza. Allora andavano nella massima serie le prime tre. La Lega decise di penalizzare il club veneto per il calcio scommesse, quindi per la prima volta andammo in serie A”.

Come venne vissuta quella promozione?

Si trattò di un’esperienza molto bella, si respirava in città un clima di grande euforia. Empoli si trovava davanti a molte realtà della toscana molto più grandi, altre città infatti vedevano le proprie squadre in categorie inferiori. A livello personale c’era un problema, fino a quel momento mi avevano chiamato “Salvempoli” , in quel caso avevo ottenuto una promozione, quindi erano costretti a cambiarmi soprannome”.

Passiamo a quell’esordio in serie A, vi trovavi di fronte una squadra del calibro dell’Inter, quali erano le sensazioni alla vigilia di quella sfida?

“Le prime partite le andammo a giocare a Firenze e Pistoia, la prima assoluta contro l’Inter in uno stadio gremito. Caricai la squadra alla vigilia, dissi ai ragazzi che noi che eravamo degli operai che dovevano dare il massimo delle proprie potenzialità per fare risultato, ma anche che non avevamo niente da perdere di fronte ad avversari del genere”.

E alla fine arrivò quel risultato che pochi avrebbero pronosticato….

Alla fine di quella partita era come se fossimo ad un metro da terra, non capivamo più niente, noi piccoli avevamo battuto una Big come l’Inter. Ti confesso che abbiamo provato emozioni indescrivibile. Fra l’altro la settimana dopo andammo a vincere ad Ascoli salendo in testa alla classifica di Serie A. A quel punto dissi che il nostro obiettivo non doveva essere più la salvezza, ovviamente stavo scherzando. A fine stagione riuscimmo a centrare l’obiettivo che ci eravamo prefissati, si trattò di una grande impresa”.

Come fu possibile centrarla quell’impresa? quali furono i segreti?

C’era un grande gruppo che univa la compattezza alla qualità, c’erano giocatori del calibro di Della Monica e Cecconi importanti per il contributo che davano nello spogliatoio. A questo bisogna aggiungere il fatto di avere una difesa solida, qualità che permise di ottenere un risultato di quel genere, che sinceramente in pochi avrebbero pronosticato“.

L’esperienza ad Empoli cosa ti ha lasciato?

Ricordi molto belli, ci sono cose che non si dimenticano anche a distanza di molti anni. E’ un esperienza che mi rimane addosso, spesso mia moglie mi rimprovera che dico sempre le stesse cose, ma Empoli mi è rimasta nel cuore

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