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Dalla rabbia al suono, Angelica Lubian: così ho realizzato il mio nuovo singolo

Dici Lubian e colleghi il cognome alla cantautrice udinese Angelica che ha seminato il suo percorso artistico di buona musica (più di 400 concerti in Italia) affidata ai cd e, ora, agli accoglienti spazi delle piattaforme. Dagli assolo, qualche fa diesis prima dell’ingresso in campo di Gianni Morandi e di Anastacia (per dirne due di aperture a lei care) al 2024, data di uscita dell’ultimo singolo “A sé stante”, di anni ne sono passati parecchi, ma soprattutto sono arrivati due pupi e il conseguente ruolo di mamma che nel suo modo di interpretare la vita ha la priorità su tutto, anche sull’amata chitarra. «C’è dell’altro - aggiunge lei - il mio lavoro d’insegnante di canto e di pianoforte ed è facile arrivare a una conclusione: scrivere canzoni diventa un’esigenza appena altre esigenze sono state archiviate».

Angelica, com’è autoprodursi?

«Quando i mezzi sono limitati ci si arrangia tenendo alta la guardia. Ovvero: tutto è predisposto affinché il livello di video e d’incisione sia ai massimi, poi — certo — disponiamo di due buoni smartphone, intendo il mio e quello di mio marito col qualche collaboro, inoltre me la cavo benino anche con i programmi di “taglio e cucito”. Alla fine il prodotto è professionale».

Gli album sono spariti dagli scaffali?

«Diciamo che la rivoluzione musicale ha ribaltato il mondo ed è sparito quel gesto, a me gradito, di annusare la copertina e di leggere i contenuti del cd. La fruizione oggi è velocissima e pure i tempi di resistenza in radio lo sono. Quando il video è pronto lo carico su You Tube e attendo i risultati, sperando che alla gente giungano il mio messaggio e la mia armonia. Scrivi e fatichi per essere ascoltata, non le pare?».

Non fa una grinza. A “X Factor” ci ha mai pensato?

«Le dico onestamente di no. In quei programmi valgono dinamiche lontano dalle mie finalità».

E quali sarebbero?

«Credo si debba sfoggiare una storia personale di un certo tipo per interessare prima di tutto il pubblico sensibile. Poi, certo, bisogna padroneggiare una voce particolare. Non fa per me quel tipo di approccio. Per carità, uno come Mengoni sta da anni in cima perché è un fenomeno e non ha mai avuto bisogno di spinte diciamo esistenziali. Un’esperienza l’ho avuta senza dire oltre. E mi sono ritrovata dentro un racconto molto più televisivo che musicale. Non ho gettato la spugna, ma il microclima nel quale mi muovo adesso è quello ideale per il mio respiro».

Finita l’epoca dei sogni adolescenziali?

«Al loro posto c’è la consapevolezza di ciò che valgo e di quello che so fare. Vado sul palcoscenico volentieri, o per meglio dire sono tornata dopo il Covid. Come ben si sa c’è un prima e un dopo pandemia».

Facciamo assieme un salto dentro “A sé stante”?

«Il brano viene fuori da una arrabbiatura forte. Il testo di “A sé stante” è tagliente e cattivello. D’altronde la mia creatività dipende molto dallo stato d’animo. Da incupita sono più produttiva che da felice. La protagonista del brano ci porta in viaggio attraverso un percorso dove la superficialità e i beni materiali sono l’unica cosa che conta davvero oggi».

C’è un timbro Lubian sulle sue canzoni?

«Non dovrei dirlo io. Spero ci sia. Qualunque artista mette la propria unicità nelle opere ed è riconoscibile per questo».

Si è immaginata il futuro della musica?

«Probabilmente torneremo ai menestrelli con un piglio più tecnologico di <TB>quelli antichi. Il dominio prevalente è il gossip social, poi arriva l’arte».

Altro problemino contemporaneo: l’intelligenza artificiale. Quanto sta influenzando il suo universo?

«Oddio. Le dirò: fa un po’ paura, però — almeno per adesso — non arriva a condizionare la parte armonica e melodica. Ho ricevuto risposte molto banali ed elementari riguardo ad alcune domande tecniche. Non avendo la capacità d’interpretare i segnali del futuro, mi auguro che IA si fermi alla base della faccenda, ma non ci giurerei».

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