2024, fuga dall'ipertecnolgia
Spegnete i computer dove si addestrano le Intelligenze artificiali, Chiudete tutto, se davvero volete salvarvi», implora ormai Eliezer Yudkowski. È uno tra i più competenti esperti al mondo dell’IA e lavora al prestigioso Machine Intelligence Research Institute di Berkeley, California. È anche a capo di un movimento di profeti di sventura e tecno-scettici che si sta arricchendo di critici, accademici e scrittori, tutti convinti che entro il 2034 potenti macchine ribelli avranno la meglio sull’uomo. Yudkowski è il più pessimista di questo movimento «neoluddista», neo perché i luddisti erano gli operai inglesi che a fine Settecento protestavano con violenza contro la Rivoluzione industriale nascente. «Avremo solo cinque anni - più che 10 - di fronte a noi» ha scritto in una lettera a Time. «Dopodiché converrà bombardare con attacchi aerei i data center di tutto il mondo». E sulla rivista americana spiegava perché lo scorso anno non avesse firmato l’appello di scienziati e ingegneri del Future of Life Institute che chiedeva uno stop di sei mesi sullo sviluppo dell’IA: «Non perché non ne condivida le preoccupazioni, ma perché sottovalutano la gravità della situazione».
Insomma, questi «luddisti 2.0» non rifiutano il progresso tecnologico, ma si chiedono in che direzione stia andando e quali siano benefici e rischi per l’umanità. Un altro scrittore, Brian Merchant, è l’autore del loro manifesto, Blood in the Machine, nonché editorialista tecnologico del quotidiano Los Angeles Times, ha inoltre guidato da pioniere una Tesla Roadster di prima generazione, ha scritto un bestseller sui «costi morali» dell’iPhone e ha un invidiabile (per follower) account sul social X. Prima di proseguire, conviene dare qualche dettaglio in più sulla storia dei luddisti. I lavoratori tessili delle Midlands inglesi, appunto, lavoravano da casa o in piccoli negozi (qualcuno penserà all’attuale smart working). Quando gli imprenditori dell’epoca cercarono di trasferirli nelle fabbriche per utilizzare telai meccanici che svolgevano funzioni simili ma più velocemente e a un minor costo, si ribellarono.
Li guidava il giovane Ned Ludd (anche se alcuni sostengono però che questo personaggio non sia mai esistito) che nel 1779 prese a martellate un telaio per protesta; seguirono rivolte un po’ in tutte le fabbriche e la Corona britannica le soffocò nel sangue. Quindi, i luddisti passarono alla storia come esagitati senza una coscienza politica, che distruggevano macchine perché non le capivano. Ma Bryan Merchant non è affatto d’accordo: in realtà erano innovatori capaci di aprire la strada alla resistenza popolare a una tecnologia dannosa. Se negli anni Duemila pareva che proprio grazie a essa si stessero avverando le sorti progressive dell’umanità, già un decennio dopo stridevano le assurde condizioni di lavoro dei magazzinieri di Amazon e Google, che hanno cancellato la concorrenza con il monopolio del mercato. Oggi i neoluddisti sono perlopiù illustratori, registi, creativi che chiedono regole per tutelare il diritto d’autore e stipendi per una vita decente.
«Se le macchine hanno il dono del linguaggio e diventano super intelligenti e più umane, il rischio è anche che noi assomiglieremo a loro, accettando automaticamente il destino che ci consegnano», avverte Kester Brewin, autore di un altro caposaldo teorico della critica alla tecnologia, God-like: A 500-Year History of Artificial Intelligence in Myths, Machines, Monsters. E preconizza lugubre: «I luddisti attuali si pongono domande serie sulle promesse di chi ci assicura che le macchine ci libereranno dalla fatica regalandoci un’era di svago e opportunità. In realtà non avremo più un lavoro». «Dobbiamo comunque guardare al futuro con ottimismo» ha dichiarato a un convegno Alessio Butti, sottosegretario con delega all’Innovazione del governo. «Far sì che lo sviluppo, utilizzo e gestione dell’IA avvantaggi la società, rispetti i diritti individuali e si allinei con i valori umani». La presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha annunciato un investimento da quasi un miliardo di euro sull’intelligenza artificiale, perché anche in Italia questo mercato cresce impetuosamente. Già nel 2023 ha raggiunto un valore di 760 milioni di euro, con un +52 per cento. Da qui a dieci anni, però, le nuove capacità delle macchine potrebbero svolgere le funzioni di 3,8 milioni di lavoratori, secondo una ricerca dell’Osservatorio Artificial Intelligence del Politecnico di Milano che conferma la tendenza alla «distruzione dei vecchi lavori» a cui anche Panorama ha dedicato una copertina nei mesi scorsi.
I primi luddisti vennero celebrati come eroi da filosofi e poeti come George Gordon Byron, che in un celebre intervento alla camera dei Lord li difese contro l’opinione dei suoi colleghi; oggi l’organizzazione - illegale ai tempi di Ludd - pare essere quanto meno un baluardo contro l’automazione selvaggia. È successo che, dopo ben 48 giorni di sciopero, nel settembre scorso, gli sceneggiatori americani siano riusciti a ottenere un contratto che impedisce agli Studios hollywoodiani di imporre l’uso dell’intelligenza artificiale e impone compensi adeguati. Ma se il sabotaggio è, teoricamente, la soluzione auspicata da Yudkowsky e da altri esponenti del movimento anti-digitale, negli Stati Uniti si stanno anche diffondendo modi di protesta più pratici: con alcune azioni dirette «serie», altre ironiche, altre che sono veri atti vandalici. Per esempio, si è scatenata l’insofferenza verso i monopattini elettrici. A Portland, in Oregon, li gettano nel fiume e nella californiana Venice Beach hanno cominciato a seppellirli nella sabbia. Nel novembre scorso, poi, lo stesso Brian Merchant ha promosso un «tribunale luddista» e ha distrutto dispositivi tecnologici superflui in piazza. Ha organizzato poi Safe Street Rebel, gruppo contrario alla diffusione dei taxi a guida autonoma, che già hanno provocato diversi incidenti. A San Francisco, infatti, vengono «combattuti» a colpi di coni stradali rossi e bianchi: li posizionano sul cofano dei taxi senza autista per confondere i loro sensori e renderli inutilizzabili. E si è arrivati all’ultimo episodio, stavolta violento, del febbraio scorso: quando una folla inferocita ha dato fuoco a una Waymo car, un robo-taxi da 200 mila dollari, realizzato da una società di Google. Si può considerare il più eclatante attacco contro l’apparecchiatura di un’azienda tecnologica, da quando gli attivisti studenteschi radicali «bombardarono» i laboratori informatici di Hewlett-Packard negli anni Settanta.
Già: la fiducia nella Silicon Valley in America evapora velocemente, proprio mentre il Parlamento europeo ha appena approvato l’AI Act, prima legge al mondo sull’intelligenza artificiale, che verrà applicata dal 2 agosto 2026. Ci sono quindi due anni per poter dar corso a tutte le prescrizioni richieste: chi sviluppa, o utilizza sistemi di intelligenza artificiale non potrà commercializzarli in violazione di questa normativa, altrimenti sarà obbligato a ritirarli dal mercato. Peccato che la tecnologia corra più veloce della legge. Così, una volta rese disponibili in Rete «intelligenze» come ChatGPT (sviluppato da OpenAI), Bard (da Google) e la loro conseguente diffusione planetaria, è montata la rabbia contri i giganti tech. Allo stesso tempo, i «generatori di immagini» come Dall-E e Midjourney hanno entusiasmato tutti finché non è arrivata Sora, lo strumento più sorprendente in grado di realizzare video talmente realistici che ne va subito regolamentato l’uso, soprattutto in vista delle presidenziali americane. Insomma, è uno scenario ben lontano da quello di un felice «comunismo di lusso completamente automatizzato» e ricco di speranze, come aveva immaginato nel 2019 il commentatore politico Aaron Bastani. Non a caso, a gennaio, la maggiore indagine mai condotta tra gli sviluppatori di IA, ha dato un esito inquietante: il 16 per cento di loro è convinto che il proprio lavoro porterà all’estinzione dell’umanità. E adesso? I primi luddisti hanno fallito, ma la loro ribellione sarà ricordata per sempre.