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In piazza Verdi a Trieste 4 minuti di follia nella maxi rissa fra adolescenti: cos’è successo

TRIESTE. Ciò che resta in piazza Verdi, alla fine, è una distesa di bicchieri di plastica mezzi vuoti, cocci di vetro, chiazze di quell’alcol che stava nei bicchieri, tavolini e sedie rovesciati. Ragazzini dal volto fintamente duro, quasi fiero, giusto per mostrarsi grandi e forti, a nascondere una mezza lacrima che di lì a poco, quando la mandria se ne andrà e resteranno soli, soli con se stessi, scenderà a inumidire gli occhi e a riportarli di nuovo poco più che bambini – come in fondo sono, questi piccoli adolescenti di 13 e 14 anni («E i genitori? I genitori dove sono?» la frase ricorrente in piazza Verdi) – scioccati dalla paura. Paura di quel che hanno visto, dei colpi che hanno preso e dato. Delle urla che hanno sentito e di quel che poteva succedere. Paura delle sirene e dei lampeggianti della Polizia e dei Carabinieri, come in un film. Qualcosa di troppo grande per loro. Ma che loro hanno commesso, senza sapere perché. Forse per uno strano modo di intendere il divertimento.

È trascorsa da poco la mezzanotte in piazza Verdi. In un locale, quello degli adulti, quello vicino all’angolo con piazza Unità, suona “Rewind” di Vasco (la versione del concerto del ’98 di Imola) che fa ballare. Poco oltre, nel bar più avanti di galleria Tergesteo gremito da decine e decine di minorenni, suona una musica meno decifrabile. In mezzo a piazza Verdi stazionano quattro o cinque gruppetti di adolescenti – occhio e croce età variabile dai 13 e i 18 anni – sembrano suddivisi per etnie. Ci sono ragazzini triestini, ci sono i sudamericani. E poi, ancora, i magrebini, i balcanici (kosovari e albanesi), gli afghani e i pachistani.

Val la pena ascoltare un attimo i loro discorsi e seguirne i comportamenti. Ecco uno, che pare sudamericano: avrà si è no sedici anni. Prima un fischio, poi una telefonata al “bro” per avvisarlo di venire presto. L’altro arriva. Basta un cenno e in cinque circondano un coetaneo, forse balcanico. Lo prendono a pugni e a calci mentre è già per terra, tutti insieme. Lui riesce comunque ad alzarsi e a fuggire. Piombano quelli del suo gruppo, forse balcanici, e nella rissa si butta anche chi è attorno. Prima in dieci, poi venti, trenta, quaranta. Grida, terrore. C’è il fuggi fuggi generale. Per un momento il parapiglia si sposta sotto il porticato del Verdi, travolgendo altre decine di giovani.

Alcuni degli aggressori, o delle vittime, chissà, scappano imboccando via del Teatro, verso piazza della Borsa. Si vede un giovane dalla pelle scura che si dimena trafelato, senza maglietta, mentre lo circondano. Volano sedie e tavolini dei bar vicini. I clienti non sanno che fare. «Stranieri de m...», urla qualcuno. Pochi attimi e le altre decine di minorenni seguono la fiumana di rissaioli, in preda a un giubilo che coinvolge indistintamente ragazzini e ragazzine. Magrebini con le magliette dei calciatori taroccate, sudamericani con i berretti e catene similòro al collo, balcanici con t-shirt attillate e triestini che scimmiottano un po’ tutte le mode. Poi si buttano pure gli afghani e i pachistani. Tredicenni in mezzo a diciottenni. È una calca, da rischiare di rimanere calpestati. La sedia di un bar finisce quasi in mezzo a piazza della Borsa.

Quattro minuti di follia. Ecco le pattuglie della Polizia e dei Carabinieri, ma ormai la situazione è calma: sono praticamente tutti scappati. «Bro’ andiamo in Torino?», dice uno. Poi un altro, mentre è al telefono: «No, in Goldoni». Che, nel gergo mutuato dallo slang dei maranza, sarebbero via Torino e piazza Goldoni. Sembrano organizzati, questi ragazzi. «Si spostano nelle piazze e nei locali per il solo gusto di picchiarsi», mormora un poliziotto. «Si divertono così».

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