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Un popolo di irriducibili, i “Friulani eretici” raccontati nel nuovo libro di Walter Tomada

Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo la premessa al libro “Friulani Eretici” a firma di Walter Tomada. Il volume è nelle librerie dal 10 settembre (Edizioni Biblioteca dell’Immagine, 304 pagine, 18,00 euro), seconda attesa opera dell’autore di “Storia del Friuli”, saggio storico che ha raggiunto le diecimila copie e cinque edizioni in due anni. Il libro sarà presentato sabato 21 alle 15 nella sede di Confindustria Alto Adriatico nell’ambito di Pordenonelegge.

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C’è uno spettro che da secoli si aggira per il Friuli: è la vena eretica di un popolo che normalmente viene descritto come “salt, onest, lavoradôr”, tutto d’un pezzo e sempre pronto alla cieca osservanza di regole e ruoli imposti da padroni rapaci.

Ad essi ha fatto spesso gioco attribuirgli il ruolo di “sotàn”, di suddito manzonianamente “disposto sempre all’obbedienza”, e fiero della propria disciplina.

Una medaglia che i friulani si sono appuntati al petto da tempo immemorabile, quasi come fossero incapaci di nuotare da soli nel mare della storia senza il salvagente di un ordine costituito che offra loro protezione e tutela.

Come sempre, però, esistono casi che dimostrano che la retorica è un’arma a doppio taglio e che le medaglie hanno due facce: e davanti, alle spalle o a fianco dei friulani che non hanno visto altra via se non quella dell’acquiescenza, ce ne sono stati moltissimi che hanno sfidato il pensiero dominante, senza paura, appunto “Eretici”.

Tra di loro, ovviamente, ci sono state anche molte donne per cui essere eretiche spesso significava semplicemente voler essere libere, marcando la differenza rispetto a quanto veniva richiesto dalla società (patriarcale e misogina).

Quindi nessuna sorpresa se alla scintilla delle idee nuove si è spesso finito per rispondere con il fuoco dei roghi dei libri e degli uomini.

Per gli storici il Friuli è una miniera a cielo aperto: e fra tutti i pregiudizi interessati che i friulani si sono visti cucire addosso, appunto quello della sudditanza rispetto a ogni potere è il più inveterato, durevole e difficile da fugare.

Eppure, a ben guardare, gli “irriducibili” sono davvero tanti e attraversano tutte le epoche quasi ci fosse nei friulani un Dna bastiancontrario che affiora quando meno te lo aspetti o, meglio, quando la misura (del buon senso, della giustizia, della decenza) è colma.

Il minimo comune denominatore della loro ribellione è il movente: l’autonomia di pensiero.

Seguendo le tracce di coloro che si sono mossi “in direzione ostinata e contraria”, si può capire che il senso di indipendenza mentale insito in molti friulani è il sale di una terra che, se è rimasta fedele a se stessa, se ha forgiato e conservato una lingua millenaria, se ha saputo resistere alle onde del destino, a invasioni e catastrofi, lo deve proprio al suo sguardo divergente.

Un modo di interpretare la realtà che affonda le sue radici ai primordi dell’identità di un popolo che si riconosce come tale sotto la croce di Aquileia.

È nella genesi del cristianesimo aquileiese, così peculiare, così atipico, così eretico, che si è strutturata una visione del mondo, della gerarchia, degli schemi che non risponde sempre ai dettami dell’ortodossia (…).

Chi vuole violare l’identità profonda che lega i friulani alla loro terra difficilmente troverà la sudditanza unanime che si attende.

Non deve pertanto stupire che sia esistito chi ha sacrificato la vita per rivendicare che la genesi del mondo avvenga allo stesso modo con cui nascono i vermi dal formaggio.

L’atto di ribellione di Menocchio e dei dissidenti dimenticati dalla nostra storia è l’unica barriera possibile alla protervia del potere: è un reclamare la parola al di là di ogni ragione, convenienza e opportunismo, perché solo in tal modo si afferma di esistere e di essere l’ultimo anello di una catena infinita.

Una catena che non imprigiona, anzi: connette a un inconscio collettivo comune che permette di uscire da ogni gabbia.

Se l’Inquisizione di ieri, come l’omologazione di oggi, agisce per plasmare l’anima e cancellare la libertà, l’impressione è che l’operazione qui sia più dura che altrove.

Sono tante le occasioni in cui i friulani hanno mostrato di faticare ad arrendersi all’ingiustizia e, muovendosi in costante bilico tra devozione e blasfemia, hanno rifiutato di seppellire un’identità che viene da lontano e che sembra quasi sorpresa, nonostante il tempo, di essere incapace di tramontare.

Il Friuli può essere occupato, calpestato, dominato: ma la sensazione che si ha – leggendo le storie dei tanti “disobbedienti” che si scorrono in queste pagine – è che finché esisterà un friulano, chi vorrà avere in mano la sua anima dovrà fare i conti con l’atavica convinzione di chi abita qui che l’ombelico del mondo non si trovi a Roma, Venezia, Vienna o Parigi, ma sui monti, sui colli o nelle grave che si abbracciano con lo sguardo in ogni angolo di questa terra.

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