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L'impatto del dibattito Trump-Harris

La valutazione complessiva del dibattito televisivo tra Donald Trump e Kamala Harris potrebbe risultare più complessa del previsto. A livello generale, molti sostengono che la candidata dem avrebbe trionfato: una tesi, questa, confortata anche dall’instant poll della Cnn, secondo cui, per il 63% degli spettatori, la vicepresidente sarebbe uscita vincitrice dal confronto. Tuttavia attenzione: perché il quadro generale rischia di rivelarsi ben più complicato da decifrare.

Senza dubbio, la performance di Trump ha deluso le aspettative. L’ex presidente si è spesso lasciato provocare dall’avversaria, mostrandosi nervoso e apparendo fuori fuoco in più di un’occasione. Spesso e volentieri, si è messo a parlare di argomenti poco interessanti (come il numero di partecipanti ai suoi comizi) e, in certi casi, ha prestato il fianco alle critiche dei dem (come quando ha detto che gli immigrati haitiani in Ohio mangiano i gatti). Trump avrebbe dovuto essere più freddo, autodisciplinato e, soprattutto, avrebbe dovuto concentrarsi maggiormente sui temi concreti della campagna: temi, rispetto a cui – dall’inflazione all’immigrazione clandestina – la Harris è oggettivamente assai debole. Pur essendo stato capace di assestarle qualche colpo discreto, l’ex presidente ha però perso troppe occasioni. E non è riuscito a mettere elettoralmente fuori gioco l’avversaria come avrebbe potuto. Ne consegue che Trump, martedì sera, ha fallito il suo obiettivo. Al netto dell’oggettiva faziosità dei moderatori (che, molto occhiuti nei suoi confronti, non hanno mai incalzato la Harris sulle varie inesattezze che ha proferito), l’ex presidente ha commesso errori di cui deve incolpare soprattutto sé stesso.

Detto ciò, c’è da chiedersi se la Harris abbia conseguito il proprio di obiettivo. Eh sì, perché il fatto che il tycoon non abbia vinto non significa che la vittoria sia stata della sua avversaria. Entriamo nel dettaglio. Senza dubbio, come già accennato, la Harris è stata molto efficace nel provocare Trump e nel farlo cadere nelle numerose trappole che ha man mano disseminato durante il confronto. Ha quindi evitato con successo che il tycoon potesse metterla con le spalle al muro sui dossier principali della campagna elettorale. Dall’altra parte, però, la Harris martedì aveva necessità di centrare due bersagli: scrollarsi di dosso l’immagine di candidata fumosa e preimpostata, oltre che discostarsi in modo netto dalla figura dell’impopolare Joe Biden. Purtroppo per lei, la candidata dem non è riuscita a conseguire nessuno di questi due fondamentali obiettivi. Alle domande scomode (dall’economia alla crisi di Gaza) ha replicato con risposte totalmente vaghe. Inoltre, l’unico momento in cui si è mostrata veramente innervosita è stato quando Trump l’ha legata a doppio filo a Biden, ricordando inoltre che la diretta interessata è al potere, come vicepresidente, da quasi quattro anni.

Insomma, nessuno dei due contendenti è stato capace di centrare i propri bersagli. Ecco perché un dibattito, che avrebbe potuto rivelarsi decisivo in un senso o nell'altro, probabilmente non riuscirà a cambiare i fondamentali di questa campagna elettorale. D’altronde, anche i sondaggi e le rilevazioni post confronto fotografano un quadro all’insegna della complessità. Se due sondaggi Morning Consult e Ipsos danno la Harris cinque punti avanti a livello nazionale, una rilevazione di Insider Advantage attribuisce a Trump un punto di vantaggio in Michigan. YouGov, dal canto suo, ha rilevato che la vicepresidente avrebbe vinto nettamente il dibattito ma che, al contempo, il suo vantaggio nazionale (+1%) sarebbe rimasto invariato rispetto a prima del confronto. Non solo. Il giorno successivo al duello televisivo, il New York Times ha riferito che gli elettori indecisi non sono rimasti granché convinti dalla performance della Harris: in particolare, l’avrebbero trovata non solo troppo fumosa ma anche eccessivamente simile a Biden. Questo dimostra quanto dicevamo prima: il fatto che Trump non abbia vinto non significa che a vincere sia stata la sua avversaria.

E qui arriviamo al punto dirimente. Per capire come un dibattito possa influire sulla campagna elettorale, non bisogna valutarlo secondo i crismi di uno show televisivo. Certo, è giusto guardare all’efficacia comunicativa dei candidati, alle loro trovate, alla loro abilità retorica, e così via. Ma questo non costituisce il cuore della questione. Bisogna infatti principalmente cercare di "leggere" i dibattiti, immedesimandosi nelle frange elettorali cruciali. In altre parole, come può aver considerato il confronto di martedì un metalmeccanico di Detroit o un piccolo imprenditore di Pittsburgh? Probabilmente un colletto blu del Michigan penserà che la performance di Trump sia stata in gran parte fuori fuoco. Ma siamo sicuri che questo basti per convincerlo a votare in favore di una Harris che, specialmente sulle questioni economiche, si è rivelata ben poco consistente? È questo l’interrogativo che bisognerebbe porsi, anziché affidarsi agli instant poll della Cnn, che lasciano oggettivamente il tempo che trovano. Sarà del resto un caso, ma, il giorno dopo il confronto, anche il Ceo di Goldman Sachs, David Solomon, ha preso le distanze da un report, pubblicato dalla sua stessa banca, che, alcuni giorni prima, aveva parlato bene delle proposte della Harris.

Secondo qualcuno, la politica sarebbe esclusivamente una questione di comunicazione. Ma non è così. Se le tue tasche sono gravate dagli effetti perniciosi dell’inflazione o vivi in una piccola comunità finita sotto pressione a causa di flussi migratori eccessivi, non voti sulla base dell’efficacia comunicativa del candidato ma sulla sua credibilità e sulla concretezza delle sue proposte. Vedere una candidata che, oltre ad accettare dibattiti e interviste solo in contesti “protetti”, è vicepresidente in carica in un’amministrazione impopolare da quasi quattro anni, non dev’essere esattamente il massimo per molti elettori indecisi. D'altronde, a giugno 2022, l'inflazione, negli Usa, ha raggiunto il record dal 1982 e, negli ultimi anni, l'attuale amministrazione americana ha ricollocato quasi 20.000 migranti a Springfield: cittadina dell'Ohio con appena 59.000 abitanti. Questo poi non vuol dire che Trump non abbia i suoi difetti e i suoi talloni d’Achille, sia chiaro (segnali preoccupanti, per lui, stanno emergendo in Georgia e North Carolina). È però significativo come, proprio negli Stati operai della Rust Belt (Michigan, Wisconsin e Pennsylvania), il tycoon, dal punto di vista sondaggistico, stia al momento performando meglio rispetto a settembre 2020 e a settembre 2016. Per cui, attenzione. Trump ha perso un’occasione d’oro al dibattito di martedì, dandosi la proverbiale zappa sui piedi. Ma la Harris, dal canto suo, non ha fugato nessuno dei numerosi dubbi che aleggiano sulla solidità della sua candidatura. Non è insomma scontato che il confronto di martedì sarà in grado di cambiare i fondamentali di questa corsa elettorale.

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