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Sei donna? Devi soffrire. Il dolore femminile tra stereotipi e valutazioni sbagliate

Il dolore è, per definizione, un’esperienza soggettiva, ma può anche essere condizionato da fattori sociali. In particolare, la sensibilità al dolore che ci aspettiamo nelle persone, è influenzata da fattori come genere, etnia, età e stato socioeconomico. Si è, infatti, a lungo ritenuto che donne e uomini percepissero le sensazioni corporee, incluso il dolore, in modi diversi. In particolare, gli uomini nella cultura occidentale sono da sempre educati a essere forti, ad accettare il dolore, mentre le donne vengono educate a essere sensibili e ad esprimere il disagio in modo verbale. Questa diversa socializzazione dei generi si riflette anche nell’assistenza sanitaria.

I professionisti della salute, involontariamente, sottovalutano e minimizzano il dolore delle donne, inquadrandolo come un fenomeno esacerbato da tratti comportamentali “tipicamente” femminili, come l’amplificazione emotiva, la sensibilità psicologica e la drammatizzazione. Per fare un esempio, studi recenti (qui, qui, qui e qui) hanno mostrato che, di fronte allo stesso tipo di dolore, alle donne viene più spesso consigliata la psicoterapia, mentre agli uomini viene prescritta una cura farmacologica.

Questa differenza evidenzia un problema significativo per la salute e ha anche un’influenza sull’esperienza della malattia delle donne. Quest’ultime infatti, cercano difficilmente assistenza medica per i sintomi mestruali perché vengono considerati parte della condizione femminile, come un dolore “previsto”, indipendentemente dalla sua intensità e dal livello di disagio che produce. Quando si considera la percezione del dolore mestruale da parte della società, il concetto di prevedibilità assume la forma di assuefazione collettiva. Ciò spiega anche perché le donne spesso convivano con disturbi come endometriosi (dolore ed irregolarità mestruali causate dalla presenza di placche endometriali al di fuori della cavità uterina), dispareunia (condizione di dolore genitale durante o dopo i rapporti sessuali), o dolore pelvico cronico, senza cercare una risoluzione per molto tempo dalla comparsa dei sintomi.

Un altro momento della vita in cui la percezione del dolore influisce in modo massiccio nell’esperienza di vita delle donne è il parto. Le manifestazioni di sofferenza, come quelle del travaglio, riflettono i codici di comportamento dello specifico contesto culturale di provenienza delle donne. Non consideriamo solo credenze, costumi e norme della famiglia e della comunità, ma anche quelle del sistema sanitario. Per meglio comprendere il significato di queste affermazioni dobbiamo approfondire il senso evolutivo del dolore.

Il dolore del travaglio, più di altri, viene considerato avente almeno due dimensioni: una sensoriale e una affettiva. Ad interessarci è quest’ultima. La componente emotiva o affettiva del dolore svolge una funzione comunicativa, trasformando l’esperienza soggettiva del dolore in una realtà interpersonale attraverso l’espressione emotiva. La donna, letteralmente, richiama a sé l’attenzione, per fare in modo di ricevere le cure ed il supporto che le necessitano, per superare con successo questo delicatissimo momento. Ascoltare ed interpretare in modo corretto le espressioni di dolore è, quindi, fondamentale per una corretta gestione della sofferenza da parte dello staff medico.

Uno studio mostra come nel 25.1% delle partorienti il dolore venga sottostimato, ciò accade in particolare nelle pluripare, che partoriscono con più stoicismo a causa delle esperienze di travaglio precedenti, ma un parto più silenzioso o controllato non significa meno doloroso. Anche le differenze interpersonali tra operatori e pazienti hanno un ruolo. Maggiore è la distanza culturale, maggiore la possibilità di interpretare in modo errato il dolore esibito. Per fare un esempio, donne più religiose esprimono le sensazioni corporee con più riserbo, allontanando di molto il dolore esperito da quello percepito esternamente.

Bisogna riconoscere, inoltre, che l’ambiente circostante influisce in grossa misura sull’esperienza del dolore della donna. Parliamo della qualità del supporto delle persone presenti, le loro comunicazioni verbali e non verbali e le politiche operative dei sanitari. Considerare le donne reporter credibili del loro dolore e accoglierne le richieste ha un doppio effetto: è, da un lato, il modo per far sentire il loro dolore compreso, valido e di conseguenza più facilmente tollerabile e dall’altro ci fa porre attenzione agli stereotipi sessisti e culturali che ci abitano, per garantire a tutti il diritto ad assistenza e cure adeguate.

Si ringrazia per la collaborazione la dr.ssa Elena Borin

L'articolo Sei donna? Devi soffrire. Il dolore femminile tra stereotipi e valutazioni sbagliate proviene da Il Fatto Quotidiano.

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