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A Padova dal primo ottobre dieci primari universitari vanno in pensione: ecco chi sono

Lo chiamano “collocamento a riposo”, ma chissà se dopo tanti anni di dedizione e impegno, i 12 professori che il primo ottobre lasceranno la loro cattedra all’Università e il reparto dell’Azienda ospedaliera di cui 10 di loro sono direttori, riusciranno davvero a seguire alla lettera il loro destino. Più probabile che in un modo o nell’altro - chi nel privato, chi nel volontariato - continueranno a mettere al servizio dei cittadini le loro competenze.

L’infornata di pensionamenti a cui vanno incontro Università e ospedale è di quelle dal peso specifico notevole: il professor Paolo Angeli, direttore della Clinica Medica 5 nonché direttore scientifico del Policlinico, il professor Angelo Avogaro direttore dell’Unità operativa complessa Malattie del Metabolismo, la professoressa Daniela Basso che dirige la Medicina di Laboratorio, il professor Lorenzo Calò direttore dell’Unità complessa di Nefrologia, il professor Piergiorgio Gamba che dirige la Chirurgia pediatrica, il professor Sabino Iliceto direttore dell’Unità complessa di Cardiologia, il professor Salvatore Pucciarelli alla guida dell’Unità complessa di Chirurgia generale 3, il professor Claudio Pasquali dirigente medico della Chirurgia generale 3, il professor Gianpaolo Rossi direttore dell’Unità complessa Medicina d’Urgenza nell’ospedale Sant’Antonio e direttore del Centro regionale per i disordini della pressione arteriosa, la professoressa Marina Saetta che dirige l’Unità complessa di Pneumologia, il professor Cosimo Sperti dirigente medico della Chirurgia generale 2 e il professor Roberto Vettor, direttore della Clinica Medica 3.

L’Università ha comunicato all’Azienda ospedaliera l’imminente “collocamento a riposo” dei professori e da parte sua l’Azienda ha provveduto a deliberare la presa d’atto della cessazione del servizio con l’Università e la conseguente contestuale cessazione della convenzione con il Policlinico.

Già nei mesi scorsi si era acceso un dibattito circa l’opportunità di poter mantenere in servizio anche oltre i 70 anni i professionisti, onde evitare un ulteriore impoverimento di specialisti in corsia. Le norme tuttavia parlano chiaro e sembra proprio che non ci siano strade diverse da imboccare se non quella del pensionamento per tutti questi medici, almeno per quanto riguarda il lavoro nell’ambito del Servizio Sanitario nazionale.

La “beffa”, se così si può dire, è che invece potranno lavorare nel privato, settore che già sta attirando come il canto delle sirene i giovani medici, assicurando loro migliori paghe e soprattutto orari decisamente più gestibili. Negli ospedali, invece, continueranno ad allungarsi le liste d’attesa.

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