Nuova trovata della maggioranza per spingere il concordato biennale: verso ravvedimento a prezzo di saldo per chi ha evaso e ora aderisce
Il relatore del provvedimento in Commissione Finanze al Senato, Giorgio Salvitti, l’aveva anticipato: nell’esame del dl Omnibus, atteso in aula il 25 settembre, si prenderà in considerazione “tutto ciò che aiuta e facilita il concordato preventivo” tra Agenzia delle Entrate e partite Iva, “per far sì che diventi uno strumento ancora più attrattivo“. Il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, sabato ha confermato: “Se ci sono interventi migliorativi sicuramente li valuteremo. Il nostro obiettivo è portare a casa questo grande risultato“. Nonostante la misura da lui sponsorizzata abbia già totalizzato due decreti correttivi, compreso quello che concede una tassa piatta sulla differenza tra il reddito dichiarato l’anno prima e quello proposto dal fisco, il timore del flop è ancora alle stelle. Come la necessità di far cassa. Ecco allora che arriva il soccorso della maggioranza, nella forma di alcuni emendamenti mirati a incentivare l’adesione stendendo un tappeto rosso davanti ai contribuenti che entro il 31 ottobre diranno sì.
Visto che l’amministrazione fiscale sulla carta potrà continuare ad accertare i redditi dichiarati negli anni precedenti e pure in quelli del concordato (l’obbligo di presentare dichiarazione rimane), Fausto Orsomarso (FdI), Massimo Garavaglia (Lega) e Dario Damiani (FI) hanno congegnato un meccanismo di ravvedimento che – se approvato – consentirebbe a chi ha evaso di mettersi in regola pagando pochissimo rispetto al ravvedimento standard. Chi firma l’accordo con le Entrate avrebbe infatti l’opzione di regolarizzare i mancati versamenti per gli anni dal 2018 al 2023 pagando un’imposta sostitutiva parametrata al punteggio di affidabilità fiscale e su un imponibile ridotto. La base imponibile sarebbe infatti costituita da una percentuale della differenza tra il reddito già dichiarato e l’incremento svelato ex post: il 5% per chi ha un Indice di affidabilità fiscale pari a 10 (il più alto), il 10% per chi si piazza tra 8 e 10 ed è quindi ritenuto “affidabile” dalle Entrate, il 20% in caso di Isa “pari o superiore a 6 e inferiore a 8”, il 30% per Isa tra 4 e 6, il 40 se l’Isa è tra e 4, il 50% se si ferma sotto il 3. Da notare che i contribuenti sotto l’8 sono tutti “non congrui”, dunque potenziali evasori.
Sulla cifra che risulta dall’applicazione della percentuale, la partita Iva sarebbe poi chiamata a versare al fisco per ogni annualità l’ennesima “imposta sostitutiva”, con aliquota del 10% se quell’anno ha ricevuto un voto Isa che lo inserisce tra gli affidabili, del 12% se il punteggio è stato pari o superiore a 6 ma inferiore a 8 e del 15% in caso di affidabilità fiscale sotto il 6. Non manca un ulteriore regalo per tener conto dei danni causati dal Covid: per i soli periodi di imposta 2020 e 2021, l’imposta sostitutiva verrebbe anche “diminuita del 30 per cento“.
Nella girandola di numeri ci si perde, ma basta un esempio per capire la portata del favore. Un professionista o commerciante che nel 2019 abbia dichiarato 40mila euro ricevendo un voto Isa pari a 5, insufficiente, e intenda “ravvedersi” ammettendo di aver in realtà incassato 20mila euro in più, potrebbe mettersi in regola pagando il 15% su 6mila euro (30% di 20mila): 900 euro su 20mila nascosti al fisco. Una clausola di salvaguardia contenuta nell’emendamento impone però “l’obbligo di versare l’importo minimo di mille euro per ciascuna annualità oggetto dell’opzione”. Cambia poco: il contribuente infedele ne uscirebbe pagando il 5% della cifra evasa. La convenienza ovviamente si moltiplica se ad essere coinvolte sono più annualità e se il nero è stato fatto negli anni della pandemia.
L’erario si dovrebbe accontentare di pochi soldi, dunque. E dovrebbe rinunciare a “controlli, accessi, ispezioni o verifiche, ai fini delle imposte sui redditi e del valore aggiunto”, con l’eccezione dei casi in cui il contribuente decada dal concordato o sia rinviato a giudizio per reati fiscali. Ma almeno lo Stato incasserebbe subito? Non proprio. Chi sceglie l’opzione sarebbe chiamato alla cassa “in un’unica soluzione entro il 31 marzo 2025“. Chi regolarizza il periodo di imposta più lontano, il 2018, dovrebbe pagare ancora prima, entro il 30 novembre 2024. Ma ovviamente non poteva mancare l’offerta di una comoda rateizzazione: 24 rate mensili a un interesse del 2%, da versare a partire dalle date precedenti. Chi sparisce dopo la prima tranche decadrebbe dal beneficio e vedrebbe iscrivere a ruolo gli importi ancora dovuti più sanzioni e interessi.
Ora resta solo da vedere se Leo metterà il proprio timbro anche sulla nuova sanatoria. L’esame degli emendamenti in Commissione inizierà in settimana.
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