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Lo chef triestino Fidelis sull’Oceano al servizio del Re e degli emigranti

Stile e qualità, fantasia e capacità creative. Queste quattro caratteristiche accomunano la vita dei transatlantici negli anni d’oro delle traversate oceaniche e il lavoro di un cuoco triestino che a bordo di queste navi si impegnò a realizzare centinaia di piatti per accontentare i palati degli esigenti e ricchi clienti dei liners della Cosulich e del Lloyd prima Austriaco e poi Triestino. Il cuoco, oggi si direbbe lo chef, si chiamava Carlo Fidelis, era nato il primo ottobre1885, e nella sua lunga carriera tra le onde e i fornelli fu anche chiamato sul “Savoia”, il panfilo reale di Vittorio Emanuele III. Il re gli conferì il titolo di cavaliere per il servizio prestato in occasione di un viaggio in Libia “per l’opera svolta in modo altamente encomiabile”.

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L’onorificenza gli fu consegnata nel 1933 a Trieste nella sede del Circolo alberghiero - marittimo dal presidente Bruno Bartoli che non mancò di inneggiare alla “Maestà del Re, al Duce e alle sicure fortune della Patria”.

Alle vicissitudini della vita di Carlo Fidelis e alle centinaia e centinaia di ricette che il cuoco diligentemente scrisse a macchina e consegnò alla sua famiglia, la storica Diana De Rosa, dedica un volume che ha per titolo “Onde di crema”. E’ edito da “Comunicarte” e si avvale della consulenza di Maurizio Eliseo, un’autorità in campo navale che ha dedicato gran parte delle proprie ricerche e dei libri che ha scritto all’epopea dei transatlantici. Dal Rex, al Conte di Savoia, alla Saturnia e Vulcania, al Conte Verde e al Conte Rosso.

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Eliseo ha firmato la prefazione di questo volume che consente al lettore di comprendere il contesto in cui lavorò tra i fornelli Carlo Fidelis. La prefazione offre idealmente al lettore di “imbarcarsi” su un transatlantico, di conoscerne le dimensioni, la velocità, il lusso riservato alla prima classe e ai suoi ricchi frequentatori. Saloni immensi, sale da fumo e da scrittura, passeggiate sui ponti, piscine, palestre, suite e una varietà e quantità di cibo oggi impensabile anche nei menù dei più lussuosi alberghi delle località frequentate da quello che si chiamava jet-set.

“L’esperienza del cibo a bordo fu e rimane uno dei fattori distintivi di una nave, dove l’indugiare a tavola si addice al ritmo lento delle onde- si legge nella prefazione firmata da Maurizio Eliseo. “La gestione di migliaia di pasti, negli spazi confinati di uno scafo d’acciaio, costituì impresa non semplice nel procurare, conservare e preparare il cibo per la popolazione di bordo. I servizi di hotellerie raggiunsero almeno nella prima classe, un livello talmente elevato già negli ultimi anni dell’Ottocento, che essere lo chef di una nave significava avere doti organizzative fuori dall’ordinario e un posto assicurato nei grandi alberghi e ristoranti di terra ferma”.

Carlo Fidelis non approdò mai a un grande albergo o a un ristorante di terra. Lavorò sempre a bordo di transatlantici e piroscafi fino al pensionamento avvenuto nel 1951 nonostante la seconda guerra mondiale avesse ridimensionato il mondo dei “liners”, e avesse ridotto al lumicino il numero di quelli italiani la gran parte dei quali erano finiti in fondo al mare. La guerra e la lenta ripresa economica aveva creato una massa di diseredati che gioco forza dovettero cercare fortuna e lavoro in America e Australia. Migranti. Carlo Fidelis fu imbarcato come cuoco sul Toscana, il vecchio e lento piroscafo che trasportò in Oceania migliaia e migliaia di esuli istriani e di disoccupati triestini.

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In precedenza questa vecchia nave aveva raccolto gli italiani di Pola costretti ad abbandonare la loro città consegnata dai vincitori alla Yugoslavia di Tito. Viaggi dolorosi, senza ritorno verso Venezia e Ancona. Valige di cartone, scatoloni legati con lo spago, poi il ricovero in campi profughi. Erano lontani i tempi delle cucine scintillanti del Conte Rosso e della Saturnia, ma soprattutto erano lontani i giorni delle ricette realizzate a bordo panfilo reale “Savoia”. Nel porto di Siracusa, l’8 maggio 1930 il pranzo sul panfilo proponeva: “Frivolezze d’Arlecchino”, “consumato doppio Rossini”, “triglie di roccia alla maggiordomo”, “pollastra arrosto”, “piselli e punta d’asparagi al burro”, “gelato alla fioraia”, “torta Panama”, “Cestino di frutta”.

Ma il re e i suoi ospiti, secondo quanto ha testimoniato Carlo Fidelis, non disdegnavano questi piatti ma il loro entusiasmo era contenuto e ben diverso da quello dei passeggeri delle prime classi dei transatlantici dove la scelta era ancora più ricca e cercava di prevenire i desideri dei commensali con decine e decine di ricette elaborate abbinate a “costruzioni” di torte in stile classico greco - romano, razionalista o futurista. Effimere sculture che vivevano la gloria di un attimo prima di essere aggredite da cucchiai, forchette e voraci palati. Carlo Fidelis ci ha però lasciato alcune fotografie di queste “torte-sculture”, così come aveva dedicato alcuni scatti al re-soldato circondato in coperta dello yacht “Savoia” dai dignitari di corte tra i quali si riconosce il generale Emilio De Bono, uno dei quadrumviri della marcia su Roma.

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