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Omicidio Gobbato, parla uno degli operai che ha fermato il killer: «Era ubriaco, puntava a una terza donna»

«Il rapinatore era certamente ubriaco. So che fermandolo ho rischiato la vita, ne sono conscio, e l’ho capito quando ho visto il coltello che ha gettato tra i cespugli delle case. Ma l’ho fatto, e lo rifarei, perché ho sentito le urla strazianti delle donne e ho pensato che potevano essere mia moglie, mia mamma, mia sorella».

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Klement Cali, 28 anni, operaio specializzato alla EA3 di Cuneo (ci tiene moltissimo a sottolineare il suo lavoro), residente a Trebaseleghe, la sera di venerdì scorso si trovava allo Bar Star di via Tasso con i suoi due amici, Dritan Zajsi, 43enne che abita in via Cardinal Massaia e Aurel Paloka, 28enne di Ponzano, con il quale ha fatto le scuole.

Sono loro i tre eroi della quotidianità, che assieme a Sebastiano e Giacomo, non si sono voltati dall’altra parte. Venerdì sera stavano chiacchierando tranquilli ad un tavolino all’aperto, quando hanno sentito le urla strazianti della donna. Klement, con uno scatto felino, ha fermato il moldavo.

Come si sono svolti i fatti, la sera dell’omicidio in cui ha perso la vita Jack?

«Mi trovavo al bar con Dritan e Aurel, erano circa le 23, il locale stava chiudendo. Ero andato a Fusina a pescare, poi ci eravamo ritrovati, siamo tre amici. Stavamo per andare via, quando sento delle urla fortissime, spaventose. Mi giro verso di loro e dico “Giuro che l’ha uccisa” da quanto erano forti. A quel punto arrivo all’angolo del palazzo, vedo un uomo che stava colpendo una donna da dietro, la rincorreva e le cercava di strappare la borsa. Io sono convinto che le donne rincorse fossero due, e l’ho anche detto alla polizia, è a verbale»

Cos’ha pensato in quel momento?

«Che poteva essere mia moglie, mia figlia, mia mamma, e sono scattato»

Cosa è successo dopo?

«Lui è scappato, io ho fatto uno sprint e l’ho inseguito, per diversi centinaia di metri, in silenzio, dietro le spalle. A un certo punto ho visto che gettava qualche cosa tra i cespugli di un giardino privato, ho pensato all’inizio che fosse un collo di bottiglia, ho memorizzato dove lo lanciava. A quel punto gli ho urlato che ero un poliziotto, di fermarsi, e che sarebbero arrivati i miei colleghi per fargliela vedere».

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E lui come ha reagito?

«Ho urlato molto forte, poi gli ho tagliato la strada e mi sono messo davanti, in modo che non potesse fuggire perché le direzioni erano tutte bloccate, ma era più grande di me. Gli altri miei amici erano uno dietro e uno dall’altra parte della strada».

Il moldavo cosa ha fatto?

«Si è fermato, era tutto sudato, il sangue che gli colava da un occhio, si vedeva che era esausto. Probabilmente ha davvero pensato che fossi un poliziotto. Così l’ho preso per un braccio, non l’ho mai mollato fino a che no siamo arrivati al bar Arcobaleno, che era aperto. Dove lo abbiamo fatto sedere. Prima il titolare cinese mi ha detto di posizionarlo a terra, sul marmo, poi lo abbiamo seduto su una sedia, perché non scappasse».

Come si è comportato?

«Ha chiesto dell’acqua, voleva bere, diceva, invece con l’acqua si lavava il sangue, forse perché la polizia non vedesse le tracce».

Le è parso alterato?

«Era distrutto, col sangue che gli colava, l’idea che mi sono fatto è che era ubriaco. Altro non so, ma di certo era ubriaco»

Non poteva sapere che aveva appena ucciso una persona prima...

«Non sapevo nulla di quello che aveva fatto, non potevo immaginarlo»

Se lo avesse saputo?

«Anche se mi avesse dato un pugno, io lo avrei atterrato, l’ho preso quando ho visto che aveva gettato quello che aveva in mano. Certo, se avessi saputo forse mi sarei avvicinato con più cautela, lo avrei seguito più da distante. Ma noi siamo così, quello è stato il mio istinto. Ripeto, poteva essere mia moglie, mia mamma, mia sorella al posto delle donne».

Sa cosa le sarebbe potuto succedere se le cose fossero andate male?

«Sì. Ho rischiato la vita».

E poi?

«I poliziotti mi hanno detto che ero testimone, che non potevo andare via e dovevo andare con loro, pertanto sono rimasto fino alle quattro del mattino in commissariato e il giorno dopo non sono andato al lavoro, in cantiere. Li ho portati a cercare quello che aveva gettato, e quando ho visto che era un coltello grosso, per tagliare il pane, sono rimasto di sasso e ho pensato, guarda con chi mi sono messo».

Se voi non lo aveste preso, secondo lei sarebbe scappato?

«Può darsi, forse si sarebbe allontanato e di certo sarebbe stato più difficile. Ma la polizia era vicina, perché l’avevano già chiamata».

Lo rifarebbe?

«Certo. Noi siamo così».

Il suo datore di lavoro cosa le ha detto?

«È rimasto colpito, si è complimentato con me. È albanese come me, avrebbe potuto fare la stessa cosa anche lui».

Secondo lei, si è reso conto di cosa aveva fatto?

«Non parlava bene l’italiano, quando gli ho domandato perché faceva quelle cose alle ragazze, l’unica cosa che ci ha risposto è proprio “loro fanno male me”. E siccome si lavava la faccia con l’acqua gli ho detto che era furbo, che levava le tracce di quello che aveva fatto»

Vuole dire qualcosa alla famiglia di Giacomo?

«Vorrei dirgli che quanto è successo al loro figlio ci spiace tantissimo».

Parteciperà con i suoi amici al funerale?

«Se non sarò al lavoro, parteciperò».

Il barista come ha reagito?

«Aveva paura. Ci ha fatto pagare la bottiglietta dell’acqua».

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