La biologa e senatrice Cattaneo a Trieste Next: «Senza studio e conoscenza l’umanità può diventare pericolosa»
Che rapporto hanno scienza e politica in Italia? Perché i ricercatori italiani se ne vanno all’estero? Di quali strumenti dovrebbe dotarsi l’Italia per sostenere la ricerca scientifica? Cosa ci insegna la storia della malattia di Huntington? È attorno a queste domande che ruota l’evento dal titolo “Huntington: non c’è cura senza ricerca”, che nella seconda giornata di Trieste Next ha visto la professoressa e senatrice a vita Elena Cattaneo ripercorrere le diverse tappe della scoperta della còrea di Huntington e discutere con il direttore editoriale del gruppo Nem - Nord Est Multimedia Paolo Possamai della situazione della ricerca in Italia.
A tracciare una panoramica della ricerca nel nostro Paese è proprio la biologa, farmacologa e ricercatrice Elena Cattaneo: «Attualmente, nel nostro Paese, il dialogo tra scienza e politica è nullo, ed è un dramma per tutti noi. In primo luogo perché significa far studiare le persone e poi non incorporarle nella vita civile, sociale e produttiva del Paese, lasciandole fuggire all’estero. In secondo luogo perché significa prendere decisioni sbagliate: l’obiettivo degli studi è conoscere meglio le situazioni per decidere meglio, con le prove sul tavolo».
A scatenare la cosiddetta fuga dei cervelli, secondo Cattaneo, è la mancanza di strumenti affidabili, di procedure, di metodi di valutazione e di tempistiche certe: «In altri Paesi come Francia e Spagna i ricercatori sanno che nell’arco dell’anno verranno aperti 3 bandi, mentre in Italia questa certezza non c’è. Inoltre, siamo l’unico stato europeo assieme a Serbia e Montenegro a non avere un’agenzia della ricerca, una “casa di cristallo” che decide indipendentemente dalla politica e dai beneficiari e che garantisce a tutti un miglior investimento del denaro pubblico».
In conclusione della diagnosi alla ricerca in Italia, Cattaneo esorta a non arrendersi e a lottare, sottolineando come «senza conoscenza, senza studio, senza storia, l’uomo non ha rispetto dei fatti, non ha memoria e può guardare in direzioni sbagliate e diventare pericoloso per altri uomini. Per questo motivo viene organizzato Trieste Next».
Sempre molto attiva non solo nella divulgazione scientifica ma anche negli aspetti legati al sociale, Cattaneo trasporta poi il pubblico all’interno del suo laboratorio di biologia delle cellule staminali che dirige all’Università di Milano, che si dedica proprio alla còrea di Huntington che significa danza e ripercorre le tappe della scoperta della rara condizione genetica neurodegenerativa che danneggia la coordinazione dei movimenti e progredisce fino ad un declino neurologico.
Il primo a descrivere questi gesti danzanti – còrea, parola greca per la danza – è George Huntington nel 1872, seguito da un articolo, pubblicato a New York nel 1915, che traccia un primo albero genealogico, dimostrando l’ereditarietà, e per primo associa la malattia all’eugenetica.
«Questo manoscritto dà il via ad una campagna di stigmatizzazione sociale per queste persone, viste come pazzi dai quali la società si deve liberare. Decenni dopo, nella Germania nazista, la còrea di Huntington è tra le nove malattie elencate nel programma di eutanasia Aktion T4, che sottopone tutti i malati alla sterilizzazione forzata».
È la genetista americana Nancy Wexler che nel 1979 inizia a ricercare la ragione biologica dello sviluppo della malattia, studiando – assieme ai migliori genetisti – gli abitanti dei villaggi sulle sponde del lago Maracaibo, in Venezuela, dove l’incidenza era di circa 3-4 mila abitanti su 10 mila. «Dopo 15 anni di esperimenti, lavoro, cadute e rinascite scoprono un gene di 3 lettere (Cag) mutato, che sopra le 36 ripetizioni provoca la còrea di Huntington», spiega Cattaneo.
Oggi, una delle strade per “silenziare” il gene malato è una sorta di scotch molecolare: in laboratorio viene creato lo stesso pezzetto di Dna senza ripetizioni, che andando ad individuare il gene malato ci si attacca sopra, silenziandolo. Gli studi hanno permesso di scoprire che è un gene presente nel corpo di tutti, ma non pericolo sotto le 35 ripetizioni.
«Non si tratta però di un pezzo di Dna spazzatura – conclude – perché avere più ripetizioni Cag significa avere più neuroni e migliori: chi ha un numero di Cag tra 27 e 35 ha anche più materia grigia nel proprio cervello. Queste persone sono state chiamate malate, indemoniate, il gene è stato considerato un errore: ma se invece fosse il risultato di quella spinta evolutiva? In tal caso queste persone sono la frontiera dell’evoluzione e pagano un duro prezzo per tutti noi. La scienza serve proprio a questo: a disinnescare le nostre convinzioni e i nostri terribili pregiudizi». —
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