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Addio Glauco Mauri, signore del palcoscenico: con Trieste legame antico

Ne avrebbe compiuti 94 martedì. Ma un attimo prima, il destino ha fermato vita e carriera di Glauco Mauri, uno degli ultimi leoni bianchi del teatro italiano. Uno di quelli che ha fatto grande la scena della seconda metà del '900. E non solo.

Con il Triveneto, con Trieste, col Rossetti e anche prima, Mauri ha avuto un intenso radicato rapporto. Lo spettacolo che aveva deciso la sua carriera, “Delitto e castigo” dal romanzo di Dostoevsky, arrivò nel 1956 al Teatro Nuovo, lo spazio che vide nascere lo Stabile della Città di Trieste, poi del Friuli Venezia Giulia.

Da allora, le apparizioni del giovane attore che alternava classici e avanguardia hanno accompagnato il pubblico. Che con Mauri ha cominciato a stringere un legame sempre più affettuoso. Sia che ci arrivasse con Valeria Moriconi (e la Compagnia dei Quattro, insieme a loro anche Mario Scaccia e il regista Franco Enriquez: “Verso Damasco” di Strindberg, “La duchessa di Amalfi” di Webster). Sia che lo accompagnasse Roberto Sturno, con il quale aveva stretto una collaborazione forte e duratura, mettendo le fondamenta di quella che divenne poi la Compagnia Mauri-Sturno.

Li si vide affrontare assieme la grande drammaturgia shakespeariana (“Riccardo II”, “Sogno di una notte di mezzo estate”, “La tempesta”) ma anche quella degli elisabettiani (“Il volpone” di Ben Jonson). Via via attraversando poi Molière (“Don Giovanni”) e Pirandello (“Tutto per bene)”. Per arrivare alla “moderna” scrittura di Beckett. Del quale Mauri è stato interprete, tra gli altri testi, di “L'ultimo Nastro di Krapp”, testamentaria pièce sulla vecchiaia. E approdare infine ai maestri della scrittura contemporanea, Éric-Emmanuel Schmitt per esempio, con le sue “Variazioni enigmatiche”. Tutto il vasto universo del teatro.

Per molte settimane, Mauri si era fermato a Trieste a provare (e poi a debuttare, aprile 1992) in “Oblomov”, lo spettacolo che Furio Bordon aveva tratto dal romanzo di Goncharov. Proprio in quelle settimane il legame con la città si sarebbe consolidato. Fu allora che Mauri raccontò forse per la prima volta, ai colleghi che lo accompagnavano in quella produzione dello Stabile Fvg, la memorabile avventura del suo viaggio in Sud America e la vicenda delle lacrime di Eleonora Duse.

Vicenda raccontata ora in un libro autobiografico, apparso nel 2023, che si intitola appunto “Le lacrime della Duse, ritratto dell'artista da vecchio” (Edizioni Falsopiano). In quelle pagine si rievoca il suo apprendistato (con uno dei guru del teatro italiano, Orazio Costa) e i suoi primi successi al fianco del suo maestro di palcoscenico, Memo Benassi. Il punto saliente riguardava l'allestimento di “Spettri” di Ibsen, in un teatro di Buenos Aires.

«Una sera, in camerino - si legge nella pagine del libro - Benassi prese dal baule una giacca in mano e dopo averle dato un ultimo sguardo mi disse: "E ricorda, su questa spalla ci sono le lacrime della Duse". Era la spalla sinistra, quella su cui la signora Alvig piangeva, alla fine di “Spettri”, quando il figlio oramai in piena crisi, diceva: "mamma dammi il sole, mamma dammi il sole". Benassi andò a sedersi e mi guardava nello specchio. Quanto, quanto amava quella giacca, che era parte della sua vita e... la donava a me. No, non era un semplice dono era qualcosa di più, molto di più: un passaggio, un trasmettere al futuro una ricchezza umana del passato. Lasciava, a un giovane attore promettente, qualcosa di molto significativo del proprio passato».

Quella giacca, qualche anno fa, Mauri aveva deciso di donarla a Roberto Sturno, segno di un ulteriore passaggio di generazioni. Nel settembre del 2023, Sturno è però scomparso, lasciando in qualche modo sospesa la vita della Compagnia Mauri-Sturno, che per entrambi è stata ragione di vita.

Che fine farà ora quella giacca? Chi toccherà ancora il panno nero, sulla spalla sinistra? Chi sentirà il peso immateriale di quelle lacrime. Le lacrime di Eleonora Duse. Assieme a quelle di Glauco Mauri.

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