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Sulla morte di Matacena la Commissione antimafia tace: troppo insidioso per la destra

So che non lo farà, ma almeno sia messo agli atti: la Commissione parlamentare antimafia dovrebbe acquisire i documenti del procedimento aperto a Reggio Calabria che riguarda l’ipotesi di duplice omicidio per le morti di Amedeo Matacena e di sua madre Raffaella de Carolis. Martedì 1 ottobre, ad oltre due anni dalla morte di entrambi, le salme verranno riesumate per ordine della Procura di Reggio Calabria, che vuole cercare prove a sostegno di una terribile ipotesi criminale ovvero che i due siano stati in realtà assassinati, forse con un veleno che uccide “travestendosi” da arresto cardiaco.

Della vicenda di Amedeo Matacena mi sono a lungo occupato prima da parlamentare componente della Commissione antimafia e poi da consulente della medesima Commissione, così come assai bene se ne è occupato il Fatto che l’ha nuovamente ricostruita con una serie di articoli puntuali ai quali rimando.

L’attenzione su questa storia, che sembrava ormai consegnata ad archivi impolverati, è nuovamente esplosa da quando è stato reso noto che la Distrettuale Antimafia di Reggio Calabria ha aperto un fascicolo con una sfilza di ipotesi di reato, la più grave delle quali è appunto quella per omicidio (e non è un fascicolo contro ignoti). A me interessa in questo blog soffermarmi su un aspetto soltanto apparentemente laterale: come ha reagito la Commissione parlamentare antimafia a questa notizia dirompente? Col silenzio. In silenzio la presidente Chiara Colosimo, in silenzio il “super-commissario” Maurizio Gasparri, in silenzio il vice presidente di maggioranza Mauro D’Attis (incontenibile invece allorchè scoppiò il caso Bari).

Perché è un silenzio assordante il loro? Rispondo con una domanda: quanti parlamentari nella storia della Repubblica ricordate per essere stati oggetto da morti di una simile ipotesi? Ecco, appunto. Qui siamo di fronte ad un ex parlamentare, condannato in via definitiva per concorso in associazione mafiosa in riferimento a condotte che hanno segnato il suo ingresso e la sua parabola politica in anni molto particolari per la Calabria e per l’Italia tutta ovvero gli anni ’90 ed i primi anni 2000, morto da latitante a Dubai dove si era rifugiato per evitare la pena, ma da dove avrebbe potuto tornare in Italia da uomo libero se soltanto il cuore gli avesse retto ancora qualche mese. Infatti per Amedeo Matacena stava per scattare quella norma del Codice Penale, l’art. 172, che estingue la pena qualora lo Stato non sia riuscito a farla espiare entro un certo termine. Non sapremo mai cosa avrebbe detto, cosa avrebbe fatto o dove sarebbe andato (in Kenya?).

Perché penso che la Commissione non acquisirà un bel niente? Perché questa vicenda è troppo insidiosa per gli eredi-al-quadrato (del Duce e di Berlusconi).

Guardare “dentro” questa storia significherebbe riconsiderare la costruzione del potere politico del centrodestra e specialmente di Forza Italia nella seconda metà degli anni 90 in Calabria.
Significherebbe acquisire l’immenso lavoro di scavo fatto dalla Distrettuale anti mafia di Reggio Calabria almeno negli ultimi quindici anni, che ha seguito trame criminali capaci di collegare ‘ndrangheta calabrese, Cosa Nostra siciliana, politici corrotti e collusi, massoni di dubbia obbedienza, imprenditori spregiudicati, uomini dello Stato infedeli ed una impressionante rete internazionale di appoggi insospettabili (per chi non studia!), avendo sullo sfondo le stragi di mafia del periodo ’92-’94.

Significherebbe confrontarsi con il ruolo avuto da un protagonista del pantheon della destra, di quegli anni ma ancora di questi, ovvero l’ex ministro dell’Interno Claudio Scajola, accusato di aver contribuito alla fuga di Matacena dall’Italia. Significherebbe inevitabilmente imbattersi in un’altra fuga post condanna per concorso esterno, quella di Marcello Dell’Utri, che puntò su Beirut prima di capitolare ed arrendersi alla Giustizia, ovvero sulla medesima destinazione che sembra avrebbe dovuto avere la fuga dello stesso Matacena.

Significherebbe dover fare i conti con altre morti tempestive ed improvvise che hanno segnato il lavoro della Procura di Reggio Calabria su questo filone di indagini o su filoni collegabili: quella dell’ufficiale della GdF Omar Pace, esperto informatico in servizio alla DIA, che si tolse la vita poco prima di andare a testimoniare nel processo a carico di Scajola e quella dell’ex agente di Polizia Giovanni Aiello, anch’egli in procinto di essere sentito dagli stessi inquirenti in altro procedimento, ma stroncato da un arresto cardiaco sulla spiaggia di Montauro in Calabria, nell’agosto del 2017.

Significherebbe anche indagare su cosa avvenne nella ambasciata italiana presso gli Emirati Arabi Uniti quando dalle Seychelles vi arrivò Matacena, determinato a sottrarsi alla giustizia italiana. Alla Procura di Reggio Calabria va il merito di non aver mai perso di vista il bisogno più profondo di verità e giustizia che c’è nel nostro Paese, quello che riguarda una certa gestione eversiva e criminale della democrazia. E pazienza se per scrivere alle autorità emiratine dovranno affrancare la busta col francobollo commemorativo dedicato a Berlusconi: suggerisco sommessamente di considerarlo un promemoria.

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