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Cinque anni fa l’uccisione degli agenti Demenego e Rotta in Questura a Trieste: «Nessuno dimentichi i “figli delle stelle"»

«I figli delle stelle sono tornati: voi dormite sonni tranquilli, perché c’è la Volante 2 e quindi è tutto a posto». Cinque anni fa, Pierluigi Rotta e Matteo Demenego, prima di iniziare il loro turno di notte, si ritraevano in un video. Rassicuravano così i triestini, non potendo immaginare che nell’arco di pochi giorni un uomo, che neppure conoscevano, avrebbe messo fine alla loro spensieratezza, ai loro sogni. Lasciando senza fiato Trieste, le loro famiglie, l’Italia intera.

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Il prossimo 4 ottobre non solo la città di Trieste farà i conti con un doloroso anniversario. Che il ministero dell’Interno, la Polizia di Stato e ovviamente la Questura di Trieste si apprestano a celebrare. Visto che i due agenti hanno segnato una delle pagine più tragiche degli ultimi anni per il corpo della Polizia.

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Venerdì prossimo, alle 10, nella chiesa di Sant’Antonio vecchio in piazza Hortis, una messa celebrata dal cappellano della Polizia di Stato don Paolo Rakic ricorderà i due giovani agenti freddati a colpi di pistola da Alejandro Augusto Stephan Meran.

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Per lui la Corte Suprema, lo scorso febbraio, ha confermato l’assoluzione perché non imputabile, per vizio totale di mente. Il 33enne di origine domenicana si trova in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza di Santa Maria Calice al Cornoviglio, vicino a La Spezia. Una pagina angosciante, che ha reso questa vicenda ancor più tragica.

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Le famiglie delle due vittime venerdì prossimo non saranno a Trieste: il ricordo provoca in loro ancora troppo dolore.

Matteo lo scorso venerdì, il 27 settembre, avrebbe compiuto 36 anni. La famiglia lo ricorderà a Velletri, la sua città natale. «A parte la rabbia, il dolore e il rammarico non trovo più le parole per raccontare quello che io e la mia famiglia abbiamo vissuto», così Fabio Demenego, padre di Matteo. «Viviamo questo anniversario senza giustizia – continua – per due ragazzi di trent’anni che hanno dato la vita per far rispettare la giustizia. A loro però la giustizia non è stata concessa».

Con la voce rotta dal dolore e dall’emozione, Pasquale Rotta, papà di Pierluigi, ricorda «le videochiamate serali che ci faceva da Trieste. Con me, che sono un poliziotto in pensione, si confidava molto. Alla madre, per non farla preoccupare, evitava di riferire alcuni aspetti del suo lavoro, mentre a me raccontava tutta la sua quotidianità, eravamo tanto uniti». Rotta sente «la città di Trieste molto vicina: quella comunità ci ha abbracciato in questi anni, ci ha dato forza, ma venire lì evoca in noi dei ricordi e troppo dolore». Rotta piange parlando del figlio, ammette la fatica per riprendere in mano la vita, anche dopo cinque anni: «A darci la forza è nostra figlia, anche lei in Polizia, e i nostri nipotini», racconta.

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Trieste ha vivo il ricordo di quel pomeriggio del 4 ottobre del 2019. Scene mai viste prima, con un uomo in fuga davanti all’ingresso della Questura, armato e deciso a uccidere, con le urla e il panico tra i passanti.

Mancavano pochi minuti alle 17. Il domenicano, portato in questura con il fratello per un controllo, era riuscito a sottrarre le pistole ai due agenti della Squadra volante, uccidendoli. Poi, muovendosi all’interno della questura, aveva sparato ancora, per uccidere ancora. A rischiare la vita erano stati altri sette poliziotti.

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Aveva poi tentato la fuga all’esterno, scalzo, ma era stato raggiunto da un proiettile all’inguine sparato da Michele De Toni, commissario della Squadra Mobile. Immobilizzato era stato poi arrestato in quel tratto accanto alla questura che oggi porta proprio il nome di Matteo e Pierluigi, due giovani strappati per sempre all’amore delle proprie famiglie.

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Pochi minuti dopo che Meran era stato portato via, la notizia di quello che era successo iniziò a circolare. La città faticava a comprendere, ad accettare. Nelle ore successive, quando fu nuovamente possibile avvicinarsi all’ingresso della questura, iniziò una interminabile, silenziosa processione di quanti volevano testimoniare dolore, e vicinanza alle famiglie dei due agenti e alla Polizia. Con una sorta di liturgia collettiva la comunità ha cercato di superare il trauma, o almeno renderlo sopportabile. Ma la ferita è ancora aperta. —

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