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Anziana cade e muore in casa di riposo, i familiari attaccano la struttura

Cade dal letto durante la notte, ma dalla casa di riposo, pur avendo piena contezza della quanto mai probabile frattura al bacino riportata, che poi sarebbe stata puntualmente confermata e che risulterà fatale, «non allertano subito il 118 e non richiedono il trasporto urgente al pronto soccorso: ci arriverà solo al pomeriggio.

E morirà poche ore dopo all’ospedale. Ma nonostante queste schiaccianti responsabilità, dalla struttura, in quattro anni mai nessuna risposta.

Sono profondamente amareggiati e feriti i familiari di Bertilla Bettello, 85 anni, trevigiana, paziente del tutto non autosufficiente, affetta da gravi cardiopatie e, da ultimo, da demenza senile». La denuncia parte dalla famiglia.

Per poterla seguire meglio i suoi cari – racconta ancora la famiglia – la affidano alle cure della Residenza Sanitaria Assistita “Giuseppe Menegazzi” di Treviso, dove però, la mattina del 4 giugno 2020, gli operatori la ritrovano per terra, girata sul fianco sinistro e tutta dolorante: “caduta accidentale dal letto questa mattina presto, girandosi ha scavalcato le spondine” scrivono nel diario clinico. «Questa, almeno, la versione fornita ai parenti e su cui gravano non pochi dubbi – prosegue la famiglia tramite lo studio di consulenza legale al quale si è affidata – perché la frattura al bacino è un trauma a cosiddetta “alta energia cinetica” e compatibile, piuttosto, con una caduta da un’altezza maggiore rispetto al bordo del letto, e da una posizione verticale, ad esempio nel corso del sollevamento del paziente mediante paranco: a evidenziarlo l’esperto medico legale a cui ha affidato il caso per gli opportuni approfondimenti Studio3A-Valore S.p.A., a cui sono affidati i congiunti della vittima per fare piena luce sui fatti, essere assistiti nella loro battaglia per la verità e ottenere giustizia.

«Ma anche ammesso che la signora Bettello sia effettivamente caduta dal letto, ciò non esime la Rsa dalla sua culpa in vigilando, tanto più dinanzi a una degente non autosufficiente che doveva essere tutelata, protetta e sorvegliata e per la quale andavano adottati tutti i presidi atti a prevenire, appunto, qualsiasi caduta: questa circostanza non doveva comunque verificarsi, in alcun modo. Già questo, insomma, configura una condotta colposa da parte del personale e quindi della casa di riposo, e per di più in nesso di causa con il decesso.

Ma non bastasse ciò, pur essendo stata visitata, durante la mattinata, dal medico della struttura, il quale, ravvisando una extra-rotazione dell’arto inferiore sinistro e una diffusa dolenza alla mobilitazione passiva, aveva subito sospettato una frattura del bacino disponendo perché l’ottantacinquenne fosse subito trasportata al Ca’ Foncello per l’esecuzione delle opportune indagini radiologiche, dalla “G. Menegazzi” non richiedono inspiegabilmente un trasferimento urgente ma solo per eseguire alcuni accertamenti radiografici. Con il risultato che l’anziana giungerà in ospedale con l’ambulanza del 118 solo dopo diverse ore, al pomeriggio, e nel frattempo nella struttura non mettono neppure in atto alcuna terapia infusionale di mantenimento».

L’accesso in Radiologia viene registrato alle 15.42 e i raggi X confermano la “frattura bilaterale delle branche pubiche con diffusi aspetti di riassorbimento della matrice ossea di possibile significato sospetto” recita il referto. Dopo ulteriori indagini e visite specialistiche, e una lunga permanenza in capo al pronto soccorso, dove alla sua “uscita” il medico che l’ha seguita si riserva la prognosi in ragione della gravità delle sue condizioni, all’una di notte del 5 giugno l’anziana viene finalmente trasferita nel reparto di ortopedia, dove però poco dopo, all’una e 55 minuti, la trovano in arresto cardiaco. Inutili tutti i tentativi di rianimarla, alle 2.10 viene constatato il decesso.

«A dir poco perplessi per i tragici fatti e per le cure tardive prestate alla loro cara, i familiari si sono dunque rivolti a Studio3A e hanno presentato un esposto diretto alla magistratura. Riscontrando la denuncia querela, il pubblico ministero della Procura della Marca, dott.ssa Anna Andreatta, ha così aperto un procedimento penale per l’ipotesi di reato di omicidio colposo in ambito sanitario, contro ignoti, e disposto l’autopsia sulla salma per chiarire le cause del decesso ed eventuali responsabilità dei medici che hanno avuto in cura la vittima.

E il consulente tecnico medico legale incaricato dal sostituto procuratore, il dott. Alberto Furlanetto, ha concluso come in effetti la morte sia stata causata da una “insufficienza cardiorespiratoria acuta terminale da shock emorragico conseguente ad ematoma retroperitoneale e peritoneale determinato da politrauma con fratture multiple al bacino”, per citare la sua perizia, confermando quindi che la causa della morte era direttamente collegata alla caduta e alle sue rovinose conseguenze, e ha anche rilevato come si fosse verificato “un ritardo nel trasferimento della paziente dalla casa di riposo Menegazzi all’ospedale Ca’ Foncello”.

Il perito della Procura, tuttavia, non ha potuto dimostrare che un provvedimento più sollecito avrebbe potuto modificare in modo significativo l’evoluzione fatale del quadro clinico, come del resto neppure escludere la tesi contraria, e cioè che un trasferimento più rapido avrebbe evitato il decesso. E a fronte di ciò il magistrato inquirente alla fine ha chiesto l’archiviazione.

Ma se in sede penale, per accertare la responsabilità medica e giungere a una condanna, è necessario che la colpa sia provata al di là di ogni ragionevole dubbio, in sede civile la prospettiva è totalmente diversa, vige il principio del “più probabile che non”, e nello specifico i presupposti c’erano tutti e di più. Per questo, attraverso Studio3A, sono state presentate svariate richieste danni alla casa di riposo: i familiari della paziente, lungi dal volersi avventurare in lunghe e dolorose cause civili, speravano si potesse arrivare a una soluzione stragiudiziale della vicenda, confidavano quanto meno in una assunzione di responsabilità, anche minima, da parte della Rsa di cui si erano fidati ciecamente affidandole la loro cara. Nulla di tutto ciò. La dirigenza della casa di riposo per mesi e anni ormai non li ha degnati neppure di una risposta, anche solo per negare le loro pretese: un silenzio che fa ancora più male di un “No”».

La replica della struttura

La struttura, contattata, esprime tramite il presidente Giorgio Pavan «il massimo rispetto per il dolore della famiglia», pur rivendicando la bontà del proprio operato e sottolineando proprio l’archiviazione del procedimento penale. «Nessun silenzio, inoltre, da parte nostra».

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