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La risposta di Google alla nuova versione del Piracy Shield

Non siamo mai da parte delle cosiddette Big Tech. Non per partito preso, ma perché è evidente che il mondo vasto e infinito di Internet sia controllato dalle mani delle grandi aziende multinazionali americane che hanno – grazie ai loro prodotti – provocato un effetto di dipendenza irreversibile rispetto alle nostre azioni quotidiane che prevedono (come ormai quasi tutto) l’uso del digitale. In questo caso, però, la risposta di Google contro il Piracy Shield rappresenta l’emblema di come la politica – nell’atavica e infruttuosa ricerca di una quadra per combattere la pirateria (applicata all’audio-visivo calcistico) – abbia legiferato senza avere neanche un’infarinatura di base sul funzionamento della rete.

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Abbiamo già parlato della paradossale lotta alle VPN, degli attori comparsi a sorpresi sulla scena senza mai essere citati e senza essere obbligati ad aderire alla piattaforma (ma a cui è stato affidato un ruolo fondamentale come quello della riabilitazione dei siti, IP e DNS bloccati). Abbiamo sottolineato il paradosso del solo “sospetto” come chiave per procedere con il blocco di un IP o FQDN. Ma dalla risposta di Google a ciò che – oramai – è stato approvato dal Parlamento italiano, tramutandolo in legge corrente, emerge la questione fondamentale: quando si parla di digitale, i politici italiani sanno realmente di cosa stanno parlando oppure seguono trend e indicazioni di aziende (come quella calcio) che ha come obiettivo solamente quello di tutelare i propri interessi economico-commerciali?

Google contro Piracy Shield, la risposta dell’azienda

Perché quanto contenuto (e approvato) all’interno del cosiddetto “decreto Omnibus” è ricco di obbrobri giuridici e tecnici, come sottolineato da Diego Ciulli, Head of Government Affairs and Public Policy di Google Italia, su LinkedIn:

«Sotto l’etichetta di “contrasto alla pirateria”, ieri il Senato ha approvato una norma che obbliga le piattaforme digitali a comunicare all’autorità giudiziaria tutte le violazioni di diritto d’autore – presenti, passate e future – di cui vengano a conoscenza. Lo sapete quante sono nel caso di Google? Al momento, 9.756.931.770. Insomma, il Senato ci chiede di inondare l’autorità giudiziaria di quasi 10 miliardi di URL – e prevede il carcere se manchiamo una sola notifica. Se la norma non viene corretta, il rischio è di fare il contrario dello spirito della legge: ingolfare l’autorità giudiziaria, e togliere risorse alla lotta alla pirateria». 

Il post è stato pubblicato all’indomani dell’approvazione (attraverso il voto di fiducia) del decreto Omnibus al Senato. Ma il discorso resta valido anche alla luce del voto di giovedì alla Camera, dove il testo non è stato modificato. La rimozione del limite di segnalazioni e intervento rischia di provocare una paralisi del sistema. Non solo di internet, ma anche per quel che riguarda il lavoro dell’autorità giudiziaria. Solamente Google ha segnalato quasi 10 milioni di url in cui sono state registrate violazioni del copyright. Ed è solamente una piccola parte. Questo è l’emblema di una norma scritta solamente per curare gli interessi di un’azienda multimilionaria come quella del calcio italiano, senza conoscere il funzionamento di internet.

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