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Triestiana, i francesi Giotti e Cergoly

Continua la linea diretta tra Parigi e il capoluogo giuliano. È infatti grazie alla passione di Laurent Feneyrou e di Pietro Milli, la nascita della casa editrice Triestiana, tutta dedicata agli autori triestini. Non solo, anche la grafica fa parte del territorio, ispirata com’è alla storica collana di Anita Pittoni, lo Zibaldone. Le tracce dei due curatori prendono infatti spunto dall’artista e poetessa triestina: pochi autori, molto validi. Chi insomma è già consacrato al firmamento della letteratura, ma non è ancora stato sufficientemente tradotto.

Lo dimostrano i primi due libri, usciti due anni fa, equipaggiati di testo a fronte e voluminose postfazioni. Il primo era “Balivernes” di Fery Fölkel, con introduzione di Elvio Guagnini, e “Petit chansonnier amoureux” di Virgilio Giotti, entrambi tradotti da Feneyrou e Milli. L’intenzione è quella di pubblicare scrittori del territorio di cui non esiste una versione esaustiva in francese, a ritmo di due volumi all’anno. Motivo per cui in Triestiana non c’è spazio per i consacrati Saba, Svevo o Stuparich, già presenti con cospicue traduzioni d’oltralpe. Piuttosto lo sguardo va a Virgilio Giotti, che infatti è presente tra gli ultimi tre volumi con “Soir”, ovvero “Sera”, con prefazione di Anna Modena. «Sera – scrive Modena – è forse il primo libro di Virgilio Giotti a svilupparsi oltre il suo progetto originario e a dettare leggi proprie, che affondano le radici nella storia e nella biografia familiare». Siamo nel 1943 e “Sera” ci restituisce questo clima di pericolo.

“Sera” è un capolavoro di poesia e di umanità: «nell’addio a uno dei figli, partito per il fronte russo durante la Seconda Guerra mondiale – osserva Feneyrou – nell’impossibile addio all'altro figlio, che non è tornato e di cui non sa più nulla, nell'addio alla moglie, la cui ragione vacilla, e forse anche nell'addio a se stesso, Giotti dimostra la sua santità. È commovente in questa densa raccolta, con parole precise come i dipinti di Chardin. Un specchio poetico dei suoi “Appunti inutili”».

Tra l’altro è stato proprio grazie agli “Appunti” giottiani che ha preso vita la collana francese: «Avevo letto “Appunti inutili” – spiega Feneyrou – proprio nel breve tragitto in traghetto da Trieste a Muggia. Ed è lì che mi sono emozionato, al punto da tradurre Giotti ed altri scrittori triestini per creare infine questa piccola casa editrice a loro dedicata».

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Oltre a Virgilio Giotti, gli ultimi volumi prevedono Carolus Cergoly con “Ponterosso”, che nella versione francese – sempre tradotta da Feneyrou e Milli – contempla anche un ricco apparato critico. Gli scritti di Cergoly hanno attirato l’attenzione di autori e poeti quali Claudio Magris, Pier Paolo Pasolini, Eugenio Montale, Vittorio Sereni. Soprattutto di Andrea Zanzotto, poeta che del dialetto ha fatto il primo strumento di ricerca. A proposito di Cergoly, il poeta veneto scriveva che i suoi versi assomigliavano a: «girandole policrome di escursioni linguistiche spaziali e temporali», forse una delle migliori definizioni della sua scrittura, riportata in postfazione. « “Ponterosso” – dice il curatore – è un mirabile trittico che si muove gradualmente a ritroso nella storia di Trieste: la città del suo tempo, quella delle atrocità del risiera di San Sabba e dei massacri di combattenti della Resistenza; e quella di un Impero perduto, che egli magnifica attraverso il mito, dove i confini scompaiono e in cui sogna, invano, di continuare a vivere». La scelta francese, con tutta probabilità, si affida alla capacità dell’autore di creare un’altra lingua grazie al mélange lessicologico, soprattutto alla possibilità che questa poesia ci dà: di risalire al centro mitteleuropeo del territorio. D’altra parte la fascinazione francese nasce anche da questo: dal chiaro interesse per la cultura mitteleuropea, per la storia asburgica e l’identità di frontiera. Senza dimenticare gli stretti rapporti della Francia con Rilke e Joyce e quindi con Trieste attraverso di loro.

Degli ultimi tre volumi, appare forse più accattivante quello dedicato a Fedoro Tizzoni, forse proprio perché pochissimi lettori delle ultime generazioni lo conoscono. Il libro è “Cannonate”. Non può non riportarci alle “revolverate” di Lucini o agli “incendi” di Palazzeschi. Scrive Elvio Guagnini in prefazione: «“Cannonate” è raccolta uscita nello stesso anno della venuta di Marinetti a Trieste per il lancio del movimento. Una raccolta per cui qualcuno definì Tizzoni “futurista”; altri la videro invece come una parodia o satira del futurismo».

Sta di fatto che la controversia non ha una definitiva soluzione. Ma il merito del critico è proprio quello di evidenziare episodi ed intellettuali che hanno dato vita a dibattiti sulla reale possibilità di una “Trieste futurista” o meno, vocata com’è sempre stata, piuttosto, all’introspezione: «all’analisi interiore, riflessione, dubbi, contraddizioni, ma anche rispettosa del patrimonio classico». Triestiana non si ferma qui. Dopo aver affrontato dei classici e dopo aver recuperato autori altrimenti destinati all’estinzione, l’obiettivo è quello di allargare il territorio, oltre i confini triestini, tra Gorizia e la Slovenia fino all’Istria. Quindi autori come Biagio Marin e il rovignese Ligio Zanini.

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